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Un decalogo per il contrasto della crisi climatica. In tempi di coronavirus più importante che mai.

Un decalogo per il contrasto della crisi climatica. In tempi di coronavirus più importante che mai.

Intervista a Huffington Post – 3 marzo 2020

Che effetto avrà l’irruzione del Coronavirus per la sfida globale sui Cambiamenti Climatici?

La crisi climatica è iniziata, ma fino a ieri era rimasta lontana, rispetto alle concrete capacità di decisione e azione strategica dei governanti e ad agende politiche inchiodate sull’immediato, sulle prossime elezioni. Con l’emergenza Covid-19 questa crisi finirà ancora più indietro nelle agende della politica e dell’economia, o magari verrà mitigata, a causa del rallentamento delle attività produttive, energetiche, dei trasporti, del turismo?

Provo a leggere cinque principali cambiamenti nel contesto globale, e cinque novità, per affrontare la crisi climatica.

1. La pandemia del Coronavirus è stata e viene finora affrontata con un debolissimo coordinamento internazionale. Gli organismi sovranazionali (dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, alle stesse Nazioni Unite) operano senza poteri. Possono emettere consigli, ma neppure sono in grado di sovrintendere a statistiche omogenee e credibili sull’andamento della malattia. Ciascuna nazione opera per conto proprio. La gestione dell’emergenza risponde a visioni e provvedimenti scoordinati; le ‘narrazioni’, e il soft power basato sulla comunicazione, sono parte di conflittualità geopolitiche; queste competizioni, se non si passerà a cooperazione multilaterale e responsabilità condivise, possono sfociare in conflittualità geostrategica, sia in caso di allargamento della pandemia verso nazioni povere e prive di strumenti di contenimento, sia per il posizionamento e l’egemonia economica, una volta usciti dall’emergenza. Per l’Unione Europea, per la democrazia in Europa, il tempo corre veloce, e l’alternativa è secca: maggiore integrazione, oppure disintegrazione.

2. La pandemia sta comportando una sospensione delle procedure democratiche in molte parti del mondo, per ovvie ragioni legate all’emergenza. Rinvio di elezioni, limitazione o chiusura delle attività dei Parlamenti, situazioni di vero e proprio accentramento coercitivo/autoritario: si configurano scenari molto diversi; in quelli estremi, assai inquietanti e pericolosi.

3. Il paradosso dei sovranismi si sta esasperando. Crescono, cioè, il consenso verso soluzioni ‘sovrane’ e l’assertività pro-chiusure, rispetto ad economie e società aperte. Mentre l’irruzione del Coronavirus è il più chiaro esempio della natura integrata, complessa, sovranazionale dei problemi (e delle soluzioni) davanti a noi. Un approccio scientifico condiviso è indispensabile: è tempo di una stagione di citizen science. E’ concretamente impossibile, ad esempio, continuare a sentir dire “Climate Change is a hoax” (una bufala).

4. Infezioni universalmente trasmissibili sono in grado di fermare per un periodo non breve le interrelazioni fisiche, gli scambi commerciali, interi settori produttivi e dei servizi. Tra i fenomeni dell’Antropocene (l’Era in cui viviamo, in cui i 7,7 miliardi di umani sono in grado di modificare – per molti aspetti, irreversibilmente – gli equilibri ecosistemici preesistenti), vi è un’evoluzione dell’”ecologia dei virus”, con l’impatto crescente di zoonosi, infezioni causate da virus, batteri, funghi ed altri agenti che si adattano all’uomo. L’origine del COVID-19 sarebbe assimilabile ad altre epidemie generate dall’utilizzo di specie selvatiche per la nutrizione o la preparazione di medicinali tradizionali (sia in ambienti di recente urbanizzazione, e con forti e rapide connessioni di trasporto; che, ad esempio, in contesti che hanno visto il recente inserimento di comunità umane nelle aree in deforestazione). L’inquinamento atmosferico (con le particelle sottili) contribuisce a favorire queste dinamiche. Appare meno implausibile la previsione del batteriologo Premio Nobel (1958) Joshua Lederberg: “La specifica, maggiore minaccia per la prosecuzione del dominio dell’uomo sul Pianeta viene dai virus”.

5. Il governo dell’emergenza – con misure che hanno portato in alcune settimane al simultaneo confinamento domestico di oltre la metà della popolazione umana – indica concretamente la potenzialità di provvedimenti eccezionali in caso di minacce incombenti per l’incolumità pubblica. Dunque, anche di fronte al rischio – o alla realtà – del superamento di un tipping point , con lo scatenamento di effetti dei Cambiamenti Climatici che nessuna ‘geoingegneria’ potrebbe scongiurare. Questi scenari non saranno più soltanto parte di documenti confidenziali e proiezioni delle Intelligence, o di rapporti discussi in vertici economico-finanziari ‘elitari’.

Veniamo a prime riflessioni a proposito dei cambiamenti che possono incidere sui fattori energetici, economici, e le politiche.

6. Le previsioni che si possono fare oggi sull’andamento delle emissioni di CO2 lasciano, per così dire, il tempo che trovano. Ovviamente le emissioni sono in significativo calo in questi mesi (le prime stime parlano di una riduzione del 25% a livello mondiale).
Ma le tendenze vanno analizzate – come anche per le crisi economiche precedenti – su un periodo di tempo che includa l’intero anno 2020, e si proietti nel dopo-emergenza. Vedremo se con la ripartenza economica si creeranno, o meno, le condizioni per dis-accoppiare
stabilmente crescita economica e crescita delle emissioni.

7. Tra gli elementi da considerare, i cambiamenti nei comportamenti sociali: cosa non si ripeterà com’era prima? Telelavoro, rinuncia ai viaggi, riorganizzazione della logistica avranno un impatto permanente? Al di là degli aspetti politico-comunicativi, va ricordato che l’impatto del traffico aereo sulle emissioni globali è di circa il 2,5%; che il consumo energetico che assicura il traffico globale di Internet è molto rilevante; che la catena dei grandi servizi logistici (sino alle consegne a domicilio) è tutt’altro che ecologicamente neutrale. Prendiamo, come mero spunto di riflessione, un esempio dagli Stati Uniti: la differenza nei livelli di contagio tra New York e Los Angeles, che interpella una nuova, possibile inversione a U nel dibattito sulla salubrità delle grandi città, dopo l’idea del secolo scorso sul beneficio della città-giardino contro l’inferno di Gotham City, e il suo successivo rovesciamento, per cui la metropoli compatta, densificata, è più sostenibile rispetto a quella divoratrice di suolo, priva di trasporti pubblici efficienti, energivora, oltre che più povera nelle relazioni sociali. Le reti dense del trasporto collettivo – rispetto al trasporto individuale – e la congestione negli spazi pubblici sono stati indicati in queste settimane tra i fattori di diffusione del contagio nell’area newyorkese. Con questo esempio, intendo dire che non sono facilmente prevedibili le conseguenze emozionali, psicologiche, socio-comportamentali che deriveranno dal lockdown di questi mesi. Conseguenze maggiori ricadranno senz’altro sul settore dei trasporti.

8. Impatto della crisi e comportamenti sociali hanno ovviamente conseguenze economiche ed occupazionali, e così le avranno le politiche pubbliche per far fronte a queste conseguenze. Gli interventi urgenti per tutelare il lavoro e le imprese si muoveranno lungo i canali tradizionali (ad esempio, sostenendo il comparto oil&gas), oppure su altri indirizzi? Questo riguarda il cosiddetto Green Deal europeo, ma – assai di più – le politiche congiunturali messe in atto da Stati Uniti e Cina; poi India, e così via.

9. Il crollo del prezzo del petrolio porta benefici, o maggiori problemi? Ovvero, proprio perché costa poco, vi è il rischio che sia usato con minore efficienza (anche per l’immissione di quantitativi spropositati nell’ambito del conflitto in seno a OPEC+, che tocca in particolare Arabia Saudita, Russia e Stati Uniti)? Le enormi riserve e il basso costo di estrazione in Arabia Saudita porteranno a nuovi equilibri (comunque ad un prezzo più alto dell’attuale). Ad esempio, il mercato degli ETS europei – alla base di una potenziale, oggi meno probabile, carbon tax – oggi è ai minimi. Gli investimenti in rinnovabili sono molto più convenienti, per la resa economica rispetto ad oil&gas, ma già ora si stanno registrando cali sensibili in questi investimenti, a causa della riduzione della domanda.

10. Abbiamo appena pubblicato (http://www.iedonline.eu) un Rapporto di circa 200 pagine a cura dell’Institute of European Democrats di Bruxelles, che affronta in modo completo le minacce derivanti dall’innalzamento dei mari e dagli sconvolgimenti conseguenti alla crisi climatica: Sea Level Rise. A crucial challenge for the future of cities and communities, ecosystems and the heritage, in our world upset by the Covid-19 outbreak. Il mondo ha assistito, appena nel novembre scorso, alla tremenda “Acqua alta” veneziana; riceve continue notizie sullo scioglimento dei ghiacci, su conseguenze e proiezioni riguardanti la vita di centinaia di milioni di persone in aree costiere minacciate da alluvioni ed eventi estremi, con impatti enormi sull’economia, le infrastrutture, il patrimonio: un ulteriore rinvio di 5 anni nell’affrontare la crisi climatica porterebbe all’accrescimento di altri 20 cm del livello dei mari, quasi quanto avvenuto (23 cm) dal 1880 ad oggi. Questo nostro lavoro è una piccola testimonianza della volontà di non considerare che i problemi del mondo di ieri potranno scomparire. Al contrario: l’emergenza di oggi fornisce chiavi di lettura nuove per una collaborazione della comunità internazionale che è assolutamente indispensabile. Il Vertice mondiale sul Clima, previsto per novembre 2020 a Glasgow, UK, è stato appena cancellato. E’ una pessima notizia, si perderà un anno rispetto a impegni e scadenze sempre più urgenti. Oppure no: in parallelo con le elezioni USA, il Vertice sarebbe stato condizionato dalla decisione di Trump di ritirarsi dagli Accordi sul Clima. Questa emergenza globale potrebbe essere l’occasione per un reset dell’agenda e delle priorità dei governanti del mondo, a partire dall’ineludibilità della crisi climatica. Contenere attorno a 1,5° (e comunque sotto i 2°) l’incremento della temperatura media terrestre a fine secolo – come stabilito negli Accordi di Parigi del 2015 – è un imperativo più importante che mai. Occorre comprendere meglio, valutare meglio, ed aiutare le istituzioni europee, internazionali e le forze della società ad esercitare il vero soft power che serve all’avvenire del Pianeta: quello delle idee e delle soluzioni condivise.

Francesco Rutelli
Fondatore, Centro per un Futuro Sostenibile. Presidente, Institute of European Democrats.

Fonte: Huffington Post

Centro per un Futuro Sostenibile Via degli Zingari, 15 - 00184 Roma (tel. +39 06.87570009)