Trump: dalle parole, ai fatti? Non è una passeggiata di salute
di Francesco Rutelli
Dopo gli annunci elettorali, il Presidente Trump ha iniziato a prendere misure esecutive. Fermato dal Congresso (pur a maggioranza repubblicana) sulla riforma sanitaria, sta cercando soldi per il celebre muro divisorio col Messico. Vedremo.
I primi provvedimenti sull’ambiente e il Clima non vanno considerati definitivi: speriamo ci siano seri ripensamenti (a partire dalla riduzione delle misure anti-inquinamento, dai tagli alle organizzazioni federali e internazionali che studiano i grandi fenomeni scientifici ed ecologici, dagli investimenti nelle nuove frontiere tecnologiche, come le batterie capaci di immagazzinare energia elettrica). Tre domande ci vogliono proprio:
1. Poiché il cambiamento climatico non è una ‘truffa’, e tutti i Paesi del mondo hanno preso impegni per ridurre le emissioni (Accordo di Parigi, 2015), l’autorità politica dell’America nel mondo – cui tengono anche molti non americani, tra cui chi scrive – non può essere esercitata rinunciando alle responsabilità in questo campo. Le maggiori emissioni sono in capo a Cina e USA. Se consideriamo che l’inquinatissima Cina ha annunciato di voler mantenere gli impegni per enormi investimenti nelle energie rinnovabili, l’America diventerà davvero più grande, ritornando alle fonti fossili (carbone, e sabbie bituminose, con l’oleodotto Keystone – altro che approdo del TAP in Puglia!) del secolo scorso?
2. Se è vero che l’industria solare USA produce più posti di lavoro delle costruzioni di petrolio (e di gas, pur molto meno inquinante), e quasi il triplo rispetto all’industria del carbone, non scopriremo che l’automazione delle industrie minerarie non resusciterà affatto i posti di lavoro promessi?
3. Se è vero che anche nel campo energetico gli sviluppi combinati di tecnologia, costi ambientali, domanda dei mercati stanno spostando le scelte gradualmente ma irreversibilmente lontano dai combustibili fossili, e verso fonti rinnovabili e a minore impatto, ciò avviene innanzitutto per motivi economici. E’ accaduto per l’energia nucleare, i cui i costi dell’intero ciclo si rivelano molto più alti – anche a causa delle prescrizioni di sicurezza e dello smaltimento – di quanto non fosse previsto decenni fa (vedasi il fallimento di grandi aziende mondiali del nucleare). E, ovviamente, per motivi ambientali e di salute: quasi 300 centrali a carbone negli USA sono state programmate per andare fuori produzione. Non per follia collettiva, ma per l’impatto sulla salute pubblica, e per i costi eccessivi. Sono i guasti ecologici e sanitari nelle grandi città cinesi a spingere il governo di Pechino a decisioni drastiche.
Conclusione: non è detto che il passaggio dagli slogan elettorali (“Trump torna a scavare il carbone”) a dei risultati effettivi sia proprio una passeggiata di salute. In entrambi i sensi di questo motto popolare.