Novità dal Climate Summit di New York
di Carlo Carraro
Guardiamo a questo giorno come il giorno in cui abbiamo deciso – come una famiglia – di mettere in ordine la nostra casa per renderla sostenibile, sicura e prospera per le prossime generazioni. Il Segretario Generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon ha aperto in questo modo il Climate Summit tenutosi lo scorso 23 settembre a New York. In effetti, se l’intento era quello di stimolare proposte, impegni e interesse verso il tema dei cambiamenti climatici, la conferenza è sicuramente stata un successo. Resta da vedere se le promesse annunciate da governi (più di 100 erano i capi di stato e di governo partecipanti all’evento) e dai mondi dell’impresa, della finanza e della società civile (800 i leader presenti) si concretizzeranno davvero. Per i primi, l’occasione per dimostrarlo sarà l’imminente COP20 di Lima (dicembre 2014), dove i governi si sono impegnati a realizzare una bozza dell’accordo decisivo per il futuro del clima, da finalizzare alla COP21 di Parigi(dicembre 2015). Per i secondi, la sfida è già iniziata il giorno dopo il Summit. Con l’auspicio che gli impegni presi verranno mantenuti.
Ma di quali impegni si tratta in concreto? E davvero saranno in grado di dare avvio ad una concreta ed efficacia azione di controllo delle emissioni di gas serra e delle loro conseguenze? Sono tre i denominatori comuni degli impegni presi a New York. L’obiettivo, tutti hanno concordato ancora una volta sulla necessità di mantenere l’aumento della temperatura media al di sotto di 2 gradi a fine secolo; la visione, e’ emerso in modo chiaro che la lotta ai cambiamenti climatici non e’ lotta all’inquinamento, non e’ una questione ambientale, ma piuttosto si tratta di dare prospettive di sviluppo a molti paesi vulnerabili al cambiamento climatico e di conseguenza garantire sviluppo sostenibile a tutti i paesi del mondo; infine lo strumento, tra le tante proposte l’idea che sia indispensabile dare un prezzo alle emissioni di carbonio, far pagare il costo a chi genera una esternalita’ negativa, ha avuto il piu’ ampio supporto.
Otto le aree di azione affrontate nelle tre sessioni parallele del pomeriggio al Climate Summit (finanza, energia, foreste, agricoltura, resilienza, industria, trasporti, città), cui si sono aggiunte discussioni sulla scienza del clima, sull’influenza dei cambiamenti climatici sulla salute e sul mercato del lavoro e sull’ economia. Per citare solo alcuni degli impegni presi: in ambito “foreste” è stata adottata la New York Declaration on Forests, supportata da più di 150 partner tra governi, aziende, comunità, ONG e società civile, mirata a dimezzare entro il 2020 la perdita di foreste a livello globale ed abbatterla entro il decennio successivo. Nel campo “finanza”, sommando le dichiarazioni dei vari attori, sono stati impegnati 2,3 miliardi di dollari nel Fondo Verde per il Clima (Green Climate Fund) ed è stato annunciato dal mondo finanziario l’impegno di istituire un “Climate Risk Investment Framework” entro il 2015 a Parigi. Parlando di agricoltura, è stata lanciata la Global Alliance of Climate-Smart Agriculture, iniziativa volta a rinforzare la sicurezza alimentare messa alla prova dai cambiamenti climatici attraverso azioni sostenibili di mitigazione e resilienza. E’ stato inoltre istituito il “Global Compact of Mayors”, che mette insieme più di duecento città, impegnatesi volontariamente a ridurre le emissioni di 454 megatonnellate di CO2 entro il 2020. I leader di 19 Paesi, con 32 partner da governi, organizzazioni regionali e istituzioni per lo sviluppo e investitori privati si sono impegnati a collaborare nella realizzazione dell’”African Clean Energy Corridor”, un’opera di 8000 km che mira a sostenere lo sviluppo dell’Africa attraverso l’accesso alle energie rinnovabili. Un tema fondamentale e urgente, quello della povertà energetica, che è necessario affrontare in un’ottica di etica ed equità. Il Summit ha infatti posto l’accento sulla necessità di supportare i Paesi più vulnerabili agli impatti dei cambiamenti climatici a costruire adeguati modelli di resilienza.
Oltre a numerose imprese italiane, anche il governo italiano ha partecipato al Summit. Nella sua dichiarazione alll’assemblea (in cui ha definito i cambiamenti climatici “la sfida del nostro tempo”) il primo ministro Matteo Renzi ha ribadito la necessita’ di che a Parigi 2015 si pervenga ad un accordo efficace ma allo stesso tempo il piu’ possibile globale, perchè la lotta ai cambiamenti climatici non si puo’ fare senza l’impegno collaborativo dei principali paesi in via di sviluppo. Ha tuttavia rinviato alla primavera 2015 degli impegni precisi da parte del nostro paese. La dichiarazione di Renzi non contiene infatti impegni misurabili (“l’Italia è pronta a contribuire con una dotazione significativa al Fondo Verde delle Nazioni Unite” non dice ne’ quanto ne’ quando….) ma ha reso esplicito il fatto che “quello che stiamo facendo non è importante soltanto per un impegno di responsabilità verso il passato ma è innanzitutto un segno di responsabilità verso il futuro”. Confermando quindi che l’impegno comune, anche dell’Italia, e’ quello di garantire crescita e occupazione, a questa e alle future generazioni. E questo si puo’ fare solo attraverso una azione incisiva, ora, per ridurre le emissioni di gas a effetto serra e per controllare gli effetti dei cambiamenti climatici.
Mai prima d’ora così tanti leader del mondo si sono riuniti per parlare del futuro del clima e quindi del futuro di tutti, e mai prima d’ora c’è stata una cosi’ grande mobilitazione globale coordinata per il clima da parte della società civile. Soprattutto da parte delle imprese in numerosi settori, dalle assicurazioni ai trasporti, e delle comunità locali, in un inedito processo bottom up, si sono visti gli impegni più rilevanti e le idee più convincenti. Forse il mondo, posto di fronte ad un assaggio degli impatti che ci aspettano, sta iniziando a capire l’urgenza di cambiare rotta. Ma dopo la comprensione, è necessaria l’azione.
Fonte: carlocarraro.org