Il no di Trump agli accordi e le cose da fare sul clima
di Francesco Rutelli
Dobbiamo varare un’efficiente Unione Energetica europea basata su comuni strategie per difendere la manifattura e l’occupazione, mentre riduciamo le emissioni, attraverso l’innovazione e la sostenibilità
Caro Direttore, dove porta il ritiro dell’America di Trump dall’Accordo sul Clima? È stato uno shock l’annuncio del Presidente Usa di rigettare l’intesa di Parigi, firmata a fine 2015 da 197 Stati (ne sono fuori solo la Siria in guerra e il Nicaragua). Ma non è meno traumatico l’esito del G20 di Amburgo: gli altri 19 membri dichiarano «irreversibile» l’Accordo, e condividono un’Agenda di 13 pagine. Trump resta solo: a smentire, certo, gli unanimismi spesso di facciata che segnano questi Summit, ma a segnare in modo dirompente l’interruzione di una leadership globale Usa.Emergono alcuni elementi importanti, messi anche in luce dai relatori nella Conferenza organizzata il 6 luglio all’Università Statale di Milano dal Centro per un Futuro Sostenibile.
1. La convergenza scientifica sulla realtà dei Cambiamenti Climatici non può essere smontata (economisti e scienziati come Galeotti, Lanza, Navarra lo hanno riaffermato a Milano). Ma è difficile prendere decisioni impegnative oggi per raccogliere risultati dopodomani: occorrono impegni condivisi a livello globale per ridurre le emissioni e limitare gli aumenti della temperatura, e strategie nazionali flessibili (ma verificate costantemente): una sorta di Dichiarazione di Interdipendenza del XXI secolo.
2. In tempi economico-sociali turbolenti, occorre dimostrare che queste strategie portano anche benefici. L’Ocse ha presentato al Vertice un rapporto piuttosto ottimistico sui loro effetti per la crescita (+2,8/+5% al 2050). È vero che gli ultimi tre anni hanno visto, per la prima volta, una discreta crescita del Pil mondiale senza aumento delle emissioni. Ma restano lontani gli obiettivi di Parigi: senza profonde correzioni, la temperatura a fine secolo sarà vicina a un aumento di 3 gradi, piuttosto che a 1,5-2.Per avere consensi dalle inquiete opinioni pubbliche, occorre dunque dimostrare quanti posti di lavoro, quali miglioramenti per l’ambiente e la salute possono essere realizzati.
3. Siamo lontani dalle svolte tecnologiche promesse, e si deve rafforzare la Ricerca. Aumentano gli investimenti per le auto elettriche; ma la produzione di energia da fonti rinnovabili resta marginale. Crolla il prezzo delle turbine eoliche e dei pannelli solari. Ma non abbiamo ancora reti di trasmissione efficienti, ne’ batterie adeguate e riciclabili. E se scenderanno le emissioni delle auto, il direttore Iea, Fatih Birol, ha prospettato un forte aumento di quelle dei camion.
4. È positivo l’impegno della Cina – e, per altri versi, dell’India.L’Ambasciatore Li Ruiyu ha ricordato il peso storico delle emissioni globali (Usa, 29%; Cina, 8%), ma ha confermato: «La Cina è di parola» sull’Accordo di Parigi; del resto, le enormi emissioni attuali hanno un insostenibile impatto sulla popolazione cinese in termini di inquinamento locale.
5. È positiva la reazione della società e di molte industrie Usa. Aiutati dal boom di shale oil (sui mercati) e gas (in termini di riduzione delle emissioni), Stati, città e imprese stanno promuovendo in campo energetico un singolare processo anti-politiche di Washington (se si considera che questo era proprio un mantra elettorale di Trump). Del resto — lo ha ricordato Giampiero Massolo — neppure le maggioranze Democratiche erano mai riuscite ad approvare al Congresso gli Accordi per il Clima.
6. E l’Europa? Le nostre emissioni sono in rapida discesa (verso il 6% mondiale), e a dicembre a Parigi l’Ue cercherà di riaffermare una leadership politica. Come ha ricordato Simona Bonafé, dobbiamo varare un’efficiente Unione Energetica. Se l’Europa è iniziata grazie alla Comunità del Carbone e Acciaio, una vera Unione deve basarsi oggi su autosufficienza e sicurezza energetica, comuni strategie per difendere la manifattura e l’occupazione, mentre riduciamo le emissioni, attraverso l’innovazione e la sostenibilità. Supportando nell’Africa — che raddoppia la sua popolazione — i paesi che controllano le migrazioni, e investono su agricoltura e sviluppo sostenibile. È possibile, oltre che indispensabile.
Fonte: Corriere della Sera.it