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L’Unione europea su energia e clima al 2030: un compromesso al ribasso

L’Unione europea su energia e clima al 2030: un compromesso al ribasso

Marzio Galeotti e Alessandro Lanza

Il presidente uscente della Commissione europea Barroso ha definito il pacchetto energia e clima della UE al 2030 approvato giovedì scorso dal Consiglio europeo “un’ottima notizia per la nostra lotta contro i cambiamenti climatici”. E subito gli si è allungato il naso. Appena più onesto e sincero il presidente uscente del Consiglio europeo Van Rompuy, per il quale “non è stato per niente facile, ma siamo riusciti a raggiungere una decisione equa che avvia l’Unione europea su un percorso ambizioso ma costo-efficiente”. E il presidente di turno del Consiglio dell’Unione Renzi? Distratto o forse tutto sommato disinteressato.

Il pacchetto “20-20-20”

Riavvolgiamo per un secondo il nastro. Nel ribadire l’obiettivo strategico di limitare l’aumento della temperatura media globale a 2°C al di sopra del livello pre-industriale, il Consiglio europeo, approvava il 7-8 marzo 2007 il cosiddetto pacchetto “20-20-20”. Questo prevedeva due obiettivi vincolanti da raggiungere entro il 2020: la riduzione delle emissioni di gas-serra del 20% per tutta la EU27 rispetto ai livelli del 1990 (equivalente a -14% rispetto al 2005) e l’aumento del 20% della quota minima di energia da fonti rinnovabili. Il target di aumento del 20% dell’efficienza energetica restava un obiettivo “aspirational”, cioè non vincolante. Gli impegni del pacchetto venivano poi tradotti in un insieme di direttive, emanate nel 2009, che tra l’altro prevedevano la specificazione di targets di riduzione delle emissioni e di aumento delle fonti rinnovabili per ciascun paese membro che fossero ovviamente coerenti con l’obiettivo del 20% fissato a livello comunitario.(1)

Più per la mano data dalla crisi economica che ha depresso i consumi di energia – probabilmente l’unico aspetto positivo di questa orribile recessione – che non per vera e determinata volontà politica, al 2013 i target paiono a portata di mano. Secondo l’Eurostat, fatti 100 i milioni di tonnellate di CO2 equivalente della UE nel 1990, nel 2013 eravamo a quota 82.14, non lontano dal target relativo alle emissioni pari a 80 nel 2020 (-20%). Secondo quanto affermato durante un incontro informale della Commissione ambiente (la cosiddetta ENVI) della UE svoltosi ad Atene lo scorso 14 maggio l’Unione ridurrà  le proprie emissioni addirittura del 24.5% nel 2020, facendo dunque meglio del target fissato nel 2007. Sempre secondo l’Eurostat, la quota di energia rinnovabile sui consumi finali di energia era pari al 14.1% nel 2013 rispetto al target del 20% al 2020.(2) Quanto infine all’efficienza energetica, un’apposita direttiva emanata nel dicembre 2012 quantificava il consumo comunitario di energia nel 2020 in non più di 1483 Mtoe di energia primaria. Sempre secondo Eurostat, il consumo di energia primaria nel 2013 si attestava su 1583.5 Mtoe rispetto al target di 1483 al 2020.(2).

La Roadmap 2050

Gli obiettivi fissati per il 2020 rappresentano la prima tappa della marcia dell’Europa verso un’economia low-carbon, compatibile con un riscaldamento globale contenuto a +2°C. Questo obiettivo finale è stato dall’Unione declinato in termini di una “roadmap” che porti a un taglio delle proprie emissioni dell’80% rispetto ai livelli 1990 nel 2050.(3) Nonostante questa strategia non preveda impegni vincolanti per una scadenza così lontana, essa tuttavia indica le ulteriori e successive tappe intermedie di -40% nel 2030 e -60% nel 2040.

Il pacchetto “40-27-27”: i target 2030

E’ con queste premesse che il Consiglio europeo è giunto all’approvazione giovedì 23 scorso dei nuovi target per il 2030. Seguendo le indicazioni che la Commissione europea aveva dato nel gennaio scorso, sono stati fissati tre target al 2030: 1) la riduzione delle emissioni del 40% rispetto ai livelli del 1990, 2) un aumento della quota di fonti rinnovabili al 27% dei consumi di energia, 3) un aumento dell’efficienza energetica del 27% (la Commissione aveva proposto il 30%).

Questo accordo si presta ad una serie di considerazioni critiche.

  • Anzitutto l’entità degli impegni. L’Europa fissa degli impegni che non si caratterizzano per essere ambiziosi, tutt’altro. Il mix rappresentato dalla perdurante depressione dei consumi di energia e dagli effetti permanenti delle misure di efficienza energetica, da un lato, e le misure di incentivo a supporto delle fonti rinnovabili, dall’altro, hanno indotto alcuni osservatori e centri di ricerca a notare come i target “40-27-27” verranno probabilmente raggiunti nel business-as-usual. In assenza, cioè, di nuove e ulteriori politiche. In realtà, la logica sottostante la fissazione di target vincolanti sta nel fornire un forte incentivo all’azione: i target non sono fatti per essere centrati, ma avvicinati il più possibile; non devono essere irraggiungibili, ma devono essere ambiziosi.

Difficile poi non ritenere indebolita la forza negoziale dell’UE al tavolo dell’accordo globale sul clima nell’appuntamento di Parigi 2015 alla COP21, dove la retorica ufficiale prevede l’approvazione del nuovo accordo fatto di impegni a ridurre da parte di tutti i grandi emettitori, Cina, india e Stati Uniti inclusi.

  • Quanto alle caratteristiche degli impegni, solo il target sulle emissioni contempla impegni vincolanti per ciascun paese membro, come già nel pacchetto “20-20-20”. A differenza del passato, invece, il target sulle rinnovabili sarà vincolante solo nell’aggregato, senza più obblighi per singolo paese. Diversi stati, come il Regno Unito, a margine del Consiglio si sono dichiarati molto soddisfatti di questa impostazione. Noi non la condividiamo, ma al di là dei punti di vista resta da chiarire come concretamente la Commissione tradurrà l’affermazione secondo cui l’obbiettivo comunitario sarà soddisfatto “attraverso chiari impegni decisi dagli stessi Stati membri che dovrebbero essere guidati dalla necessità di raggiungere collettivamente il target europeo e che dovrebbero basarsi su ciò che ogni stato membro dovrebbe realizzare in relazione al proprio target per il 2020”. Quanto sia possibile/probabile centrare un target aggregato con impegni volontari/indicativi dei singoli Stati membri, i quali “rispettino pienamente la loro libertà nel determinare il proprio mix energetico”, non è dato sapere. Certo è che oggi se un paese non soddisfa il proprio obbiettivo per il 2020 incorre in sanzioni da parte della Commissione. Un domani resterà forse la carota, ma di certo mancherà il bastone. Questo riduce la garanzia che lo stesso target comunitario venga raggiunto.
  • L’accordo sul pacchetto energia e clima 2030 prevede un voto unanime. Ciò ha attribuito un potere di iterdizione eccessivo ai singoli paesi. L’esito dell’accordo ha quindi delle facce precise impresse su di esso. La Polonia (sostenuta dagli altri paesi del “blocco di Visegrad”: Repubblica Ceca, Slovacchia, Ungheria, Bulgaria, Romania), fortemente dipendente dal carbone, ha preteso significative compensazioni per non porre il veto al target sulle emissioni. Il Regno Unito ha insistito per non avere target nazionali sulle rinnovabili per ostentare la non ingerenza dell’UE nella propria politica energetica nei confronti dell’UKIP e di eursoscettici vari. La Germania ha scelto di non far valere il suo peso negoziale ed il suo spiccato favore per obbiettivi vincolanti più ambiziosi, forse fregandosi le mani nell’attesa di sostituirsi all’intera UE nel conseguire quel vantaggio competitivo che la Green Economy e le nuove tecnologie pulite assicureranno. E l’Italia, presidente di turno? Già da tempo il nostro Ministro dello Sviluppo economico aveva fatto pubblicamente conoscere la sua propensione per impegni che non danneggino la competitività della nostra industria. Tradotto: obbiettivi poco ambiziosi sulle emissioni, mentre sulle rinnovabili abbiamo già dato con quei benedetti costosissimi sussidi. In sintesi, gli interessi nazionali hanno prevalso e il compromesso che è scaturito ha prodotto un risultato ufficialmente lodato da molti leaders, ma sicuramente inferiore alle aspettative di molti osservatori e soprattutto insufficiente rispetto a ciò che è necessario ed urgente fare.

Concludendo

Il pacchetto energia e clima non ha solo l’obbiettivo di contribuire a contenere il riscaldamento globale. Esso serve anche a ridurre la dipendenza energetica, che è un problema tutto europeo (e anche molto italiano); serve per conseguire e consolidare una leadership nei settori molto dinamici delle nuove tecnologie verdi; serve per potere staccare quel dividendo socio-economico di nuove attività produttive, nuova occupazione, nuovi sbocchi commerciali all’estero che possono svolgere un’importante funzione anticiclica.

Questo processo di transizione è epocale e irreversibile. L’Europa poteva e doveva fare di più.

  • Il pacchetto di direttive prevedeva anzitutto la riforma del sistema europeo di scambio dei permessi di emissione (EU ETS) per il periodo 2013-2020. Essa prevedeva il passaggio a un “cap” unico europeo alle emissioni, in luogo del precedente sistema di “tetti” nazionali. Una seconda direttiva riguardava la ripartizione dell’obbligo di riduzione delle emissioni tra stati membri per quei settori non coperti dall’EU ETS, residenziale, agricoltura, trasporti, rifiuti. Una terza direttiva riguardava la specificazione di target nazionali per le fonti rinnovabili, stabiliti tenendo conto dei diversi punti di partenza e del differente potenziale dei singoli stati membri. Un riassunto del pacchetto “20-20-20” si trova all’indirizzo http://ec.europa.eu/clima/policies/package/index_en.htm.
  • Gli indicatori Europe 2020 si trovano alla pagina http://epp.eurostat.ec.europa.eu/cache/Euro_2020/E2020_EN_banner.html. Ogni stato membro ha poi l’obbligo di fissare un target indicativo di risparmio energetico da raggiungere con gli strumenti ritenuti da esso più idonei nel periodo di obbligazione 2014-2020.
  • Un riassunto della “Roadmap for moving to a low-carbon economy in 2050” si trova all’indirizzo http://ec.europa.eu/clima/policies/roadmap/index_en.htm. Vale la pena di ricordare che l’ultimo rapporto dell’IPCC sui cambiamenti climatici indica la necessità di tagliare le emissioni a livello globale di un importo tra il 40% e il 70% al 2050 rispetto ai livelli del 2010 (quindi assai di più in rapporto al 1990) se si vuole avere un’elevata probabilità di mantenere il +2°C di riscaldamento globale. Si veda http://report.mitigation2014.org/spm/ipcc_wg3_ar5_summary-for-policymakers_approved.pdf.
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