Shale gas, l’internazionalizzazione yuan e il confronto tra Us e Cina
di Demostenes Floros
Carta di Laura Canali tratta da “Usa contro Cina“
A ottobre, il dollaro si è deprezzato nei confronti dell’euro sino a superare quota 1,38€/$ (record da ottobre 2011). La valuta americana ha costantemente perso terreno nei confronti della divisa europea a partire dal “congelamento” dell’intervento militare statunitense in Siria: infatti il 6 settembre il cambio quotava 1,31€/$ dopo essersi mantenuto in un range compreso tra 1,32/34€/$ durante il tesissimo mese di agosto.
Il trend ribassista del biglietto verde è quindi proseguito anche all’indomani dell’accordo raggiunto dal Congresso Usa in merito al nuovo piano di spesa per poi invertire la rotta solamente nelle ultime ore del mese; è possibile che gli investitori abbiano cominciato a scommettere su un taglio dei tassi della Bce, nella riunione del 7 novembre.
Sempre in ottobre, la People’s Bank of China ha guidato l’apprezzamento dello yuan contro il dollaro giungendo a fissare il cambio a 6,08 yuan/$ (massimo dal 1994, rivalutazione del 25% dal 2009). Complice lo shutdown, l’agenzia di stampa statale Xinhua ha parlato di “de-americanizzazione del mondo” (minuto 10’12”) e di come sia arrivato il momento di considerare una nuova valuta di riserva “che deve essere creata per sostituire il dominio del dollaro, in modo tale che la comunità internazionale possa stare lontana dalle conseguenze del caos politico che si sta intensificando negli Stati Uniti”.
Se così fosse, più che il downgrade sul debito pubblico americano deciso dall’agenzia di rating cinese Dagong e la sigla di contratti swap valutari stipulati con Regno Unito ed Eurozona, è il costante acquisto di lingotti d’oro – inteso come collaterale – da parte di Pechino a indicare che quest’ultima vuole affiancare la propria divisa al ruolo internazionale attualmente svolto solo dal biglietto verde.
Nel medesimo arco di tempo, il Brent si è apprezzato di 3 dollari al barile ($/b) mantenendosi tra i 105$/b ed i 110$/b; il Wti, al contrario deprezzatosi di circa 5$/b, è sceso sotto i 100$/b. Nonostante esista un solo mercato internazionale del greggio, a differenza del gas che invece vede la presenza di 3 mercati regionali distinti – americano, europeo ed asiatico – ognuno esprimente il proprio prezzo, è probabile che il costo della qualità europea, il Brent, abbia risentito delle forti tensioni geopolitiche presenti in nord Africa, principalmente in Libia, paese oramai sull’orlo di un vero e proprio processo di “somalizzazione”. Al contrario, il trend del benchmark per eccellenza, il Wti, ha in parte scontato il rallentamento dell’economia americana a causa dei noti problemi di bilancio, ma soprattutto l’incremento delle scorte di greggio (offerta) negli Usa.
Il Wall Street Journal sbandierava a inizio ottobre il primato energetico mondiale raggiunto dagli Stati Uniti, che avrebbero superato la Federazione Russa e l’Arabia Saudita nella produzione di petrolio e gas naturale grazie all’estrazione di shale gas e di tight oil. Quand’anche la tecnica produttiva del fracking determinasse una vera e propria rivoluzione nei mercati internazionali dell’energia e non solo in quello Usa – gli ultimi report della Iea, nonché dell’Oxford Institute for Energy Studies (Oies) non depongono però a favore di quest’ultima tesi – potrebbe comunque non esser corretto affermare che Washington sia di conseguenza meno interessata al mantenimento dell’influenza politica nella regione che va dal Maghreb al Golfo persico.
Semmai, il “disimpegno” potrebbe essere figlio della crisi economica Usa, nel senso delle restrizioni di bilancio, e di una scelta politica volta al contenimento – o all’accerchiamento militare – della Cina. In base all’accordo raggiunto tra Washington e Tokyo, a inizio ottobre, per la prima volta, droni americani avranno base in Giappone.
Inoltre, grazie ai dati forniti dall’Asian Development Bank durante il Congresso mondiale dell’energia tenutosi a metà ottobre in Corea del Sud, entro il 2035 le importazioni di petrolio dall’area Asia/Pacifico supereranno i 25 milioni di b/g. Se si tiene conto che già a partire dal 2013 le importazioni cinesi di petrolio e prodotti derivati toccheranno i 6,3 milioni di b/d superando i 6,2 milioni di b/d degli Stati Uniti (stime Iea), indipendentemente dal ruolo che avranno shale gas e tight oil, se gli Usa vorranno conservare la loro leadership mondiale dovranno necessariamente cercare di mantenere una presenza – anche militare – in un’area strategica per il destino dei futuri approvvigionamenti energetici.
Di questa regione la Siria è un tassello fondamentale.
Fonte: temi.repubblica.it/limes