Lo shale gas e la lunga marcia verso l’indipendenza energetica della Cina
Le fonti energetiche cinesi sono in prevalenza fossili. Per la sua particolare disponibilità sul territorio cinese, il carbone rappresenta il 70% del totale delle risorse energetiche. Ora il governo di Pechino è costretto a ricercare nuove fonti di energia, sia per motivi economici legati alla riduzione dei costi, sia per scopi politici connessi alla dipendenza energetica dall’estero.
L’industria del gas naturale in Cina
Nel 2011, la Cina ha consumato 131 miliardi di metri cubi di gas naturale a fronte di una produzione interna di soli 103 miliardi. Dal 2007, la Repubblica Popolare Cinese (Prc) è un importatore netto di gas naturale. Nel 2011 le importazioni sono state di 28 miliardi di metri cubi, di cui 17 in forma liquefatta, pari a un incremento annuo del 33%, costituendo il 21% del consumo totale di gas naturale. Dalla prima spedizione estera di gas naturale liquefatto (gnl) avvenuta nel 2006, le importazioni di gas naturale sono costantemente aumentate. Il principale paese esportatore è l’Australia (30%) seguita da Qatar (19%), Indonesia (17%) e Malesia (13%).
In rapporto alla quantità di gas naturale indicata dalle stime delle riserve, la capacità delle attuali infrastrutture cinesi appare inadeguata per le operazioni di estrazione, trasporto e stoccaggio, il cui sviluppo è di norma assicurato dalle stesse compagnie petrolifere. In confronto agli Stati Uniti, dotati di 210 gasdotti colleganti tutti i principali mercati del paese per una lunghezza complessiva di quasi 500 mila chilometri, la Cina, con i suoi 45 mila chilometri, si presenta come una realtà piccola e frammentata, pur essendo prevista un’estensione della rete a 180 mila chilometri per il 2015.
Il governo cinese è intenzionato a portare l’impiego di gas naturale dall’odierno 4% del portafoglio energetico medio nazionale al 10% nel 2020. Sulla base di questo obiettivo, si può stimare che la domanda di gas naturale passerà dai 131 miliardi di metri cubi odierni ai 300 miliardi del 2020, per un incremento annuo dell’8%.
Vanno approfondite le conoscenze geologiche dei depositi, migliorate le competenze tecniche di estrazione, sviluppate le infrastrutture e organizzata la filiera distributiva, ma soprattutto va potenziata la ricerca e lo sfruttamento di fonti non convenzionali – nello specifico, di gas da argille (shale gas). Altrimenti, la domanda rischia di rimanere inevasa o, giocoforza, di esporre la Cina a una maggiore dipendenza estera tradotta in massicce importazioni dai paesi dell’Asia Centrale, dalla Russia e dalla Birmania.
Le risorse di gas da argille
Le prospettive del fabbisogno energetico cinese lasciano pochi dubbi sulla necessità di sviluppare una fonte energetica a basso costo e a ridotto impatto ambientale che sia alternativa all’attuale fonte primaria del carbone. Tuttavia, i giacimenti di gas da argille risultano posti a profondità doppie rispetto a quelli nordamericani e in zone montuose, rendendo sia le tecnologie sia le infrastrutture odierne inadeguate allo scopo.
Nel 2011 sono state stimate riserve commerciabili per 32 miliardi di metri cubisuddivise in 4 grandi giacimenti contenenti gas di origine marina di ottima qualità per la produzione di gas da argille (Sichuan, Tarim, Junggar e Songliao). A questi si aggiungono altri 3 depositi di dimensioni minori e con struttura geologica complessa (Jianghan, Yangtze e Subei), per una superficie complessiva di 2,75 milioni di chilometri quadrati, pari a quasi 10 volte la superficie terrestre italiana. Altre riserve importanti, ma non ancora quantificabili, si trovano nella Cina Centro-occidentale (Ordos, Qaidam,Turpan). Le risorse complessive sono invece stimate a 136 miliardi di metri cubi.
Nel XII° piano quinquennale, il governo ha fissato come obiettivo una produzione annua di gas da argille di 6,5 miliardi di metri cubi entro il 2015, che poi arrivi ad almeno 60 miliardi nel 2020.
Il principale ostacolo allo sviluppo dell’industria del gas da argille è l’assenza di un libero mercato dell’energia: ciò scoraggia gli alti investimenti per l’estrazione. I produttori cinesi si trovano così schiacciati tra l’incudine dei limiti della tariffazione e il martello degli aumenti dei costi di produzione. A tali ostacoli si aggiungono quindi le impervie caratteristiche geologiche dei giacimenti e la scarsità di acqua necessaria alle operazioni di estrazione tramite fratturazione idraulica.
Tuttavia, tali difficoltà non sono insormontabili se si considera che gli obiettivi dell’industria petrolchimica sono definiti dal governo centrale e che il surplus della bilancia commerciale cinese mette a disposizione una grande quantità di capitale inutilizzato.
Le recenti esplorazioni
Sotto l’azione governativa, le attività di esplorazione si sono intensificate negli ultimi anni allo scopo di fornire dati preliminari sul potenziale dei giacimenti. Nel dicembre 2010, China petroleum (Sinopec) ha ultimato la prima perforazione verticale a Yuanba, distante circa 500 km da Chengdu, capitale della provincia di Sichuan, per poi completare a metà 2011 la prima perforazione orizzontale a Fuling, non lontano da Yuanba e sempre nel ricco bacino di Sichuan.
Analogamente PetroChina (Cnpc), produttore del 73% del gas nazionale, ha completato la prima perforazione orizzontale agli inizi del 2012. Ad oggi, è possibile stimare l’esistenza di circa due dozzine di pozzi di gas da argilla prodotti da fratturazione idraulica.
Il governo ha invitato società di progettazione estere a collaborare con le omologhe cinesi o perfino a curare indipendentemente le attività di perforazione. L’iniziativa ha visto la nascita di cooperazioni tra Bp e PetroChina, Chevron e China petroleum, come pure l’acquisizione da parte dell’australiana Leyshon dei diritti di esplorazione del bacino di Ordos nella provincia centrale di Shanxi.
Tra le altre multinazionali estere coinvolte figurano la norvegese Statoil, la francese Total, la statunitense ExxonMobil e l’italiana Eni che, nel 2011, ha firmato memorandum di intesa con PetroChina e China petroleum. Ma a fare la parte del leone è l’olandese Shell che ha già stipulato accordi con le 3 principali compagnie petrolifere cinesi e firmato il suo primo contratto di condivisione della produzione di gas scisto con PetroChina. Shell è il principale produttore mondiale di gas liquido e ha l’obiettivo di produrre più gas naturale che petrolio greggio.
Le aste
Pechino controlla strettamente la cessione dei diritti di utilizzo dei giacimenti di gas da argille attraverso apposite aste pubbliche. La gestione di questi diritti rimane una barriera all’entrata per le compagnie petrolifere estere poiché i diritti sono concessi solo alle società cinesi o a joint-venture fra queste e compagnie estere. Il diverso trattamento riservato alle società straniere è anche dimostrato dall’assenza di offerte da parte delle principali società petrolifere cinesi sulle oltre 150 aste indette dal momento che tali società già possiedono i diritti di esplorazione sui principali giacimenti del paese.
Alla prima asta per 4 blocchi di gas da argille, tenutasi nel giugno 2011, hanno preso parte 6 compagnie nazionali e solo 2 blocchi sono stati assegnati: quello di Nanchuan, nella provincia di Guizhou (a China petroleum), e quello di Xiushan, nelle vicinanze della metropoli di Chongqing (a Henan provincial). Una seconda asta, indetta nell’ottobre 2012, è stata aperta anche alle joint-venture controllate da società cinesi per 20 blocchi dalla superficie totale di 20 mila chilometri quadrati. Solo 19 blocchi hanno ricevuto le richieste minime di 3 offerte, in assenza delle quali vengono rimossi dall’asta stessa.
Per incoraggiare la partecipazione alle aste, una volta raggiunto il punto di pareggio economico ai vincitori è concesso l’allargamento delle esplorazioni nelle aree adiacenti ai blocchi. Molti dei partecipanti erano società senza alcuna esperienza nel settore petrolchimico. E dei 19 blocchi, solo 16 sono stati assegnati: tra i vincitori c’erano 6 società statali, 8 governi locali e 2 società private per un investimento totale di 12,8 miliardi di yuan (160 milioni di euro) su un periodo di 3 anni.
Shenhua energy, il principale produttore nazionale di carbone, si è aggiudicato l’asta per il blocco di Baojing nella provincia meridionale di Henan. Nel blocco, che si estende su una superficie 1.189 chilometri quadrati, Shenhua energy ha annunciato l’intenzione di investire 874 milioni di yuan (110 milioni di euro) in 3 anni, pur evidenziando i grossi rischi connessi all’investimento.
Politiche pubbliche e legislazione
Per avere successo, un quadro legislativo sulla produzione di gas da argille deve tenere conto non solo degli aspetti legati alla domanda e all’offerta, ma anche di una vasta gamma di fattori come la gestione delle risorse, la difesa dell’ambiente, la riduzione graduale delle importazioni, le tecnologie, la ricerca e sviluppo, la sicurezza, l’istruzione e il regime fiscale.
La Prc ha definito la propria strategia di sviluppo del gas da argille nel XII° piano quinquennale varato nel 2011. Sono stati stabiliti ambiziosi obiettivi: la creazione di 5 aree di produzione partendo dai giacimenti a maggiore probabilità di commercializzazione; il completamento dello studio per l’esplorazione e lo sviluppo di giacimenti in mare aperto e in acque profonde; lo sviluppo di metodologie, tecnologie e attrezzature per le attività di valutazione ed esplorazione; la definizione di standard, regole e procedure nazionali; il raggiungimento di una produzione annua di 6,5 miliardi di metri cubi nel 2015.
Al fine di far fronte all’assenza di personale specializzato e conoscenza dei processi di produzione, il piano prevede e incoraggia la concorrenza e la cooperazione in forma di joint-venture con società estere come ConocoPhillips, Chevron, Shell e Bp per lo sviluppo delle tecnologie necessarie. Per ovviare alle probabili difficoltà nelle attività di sviluppo del settore e per incoraggiare la partecipazione di investitori privati, il piano prevede sussidi pari a 0,4 yuan (0,05 euro) per ogni metro cubo di gas da argilla prodotto, contro gli 0,2 yuan assegnati alla produzione di gas da carbone.
Inoltre, sono attualmente allo studio agevolazioni fiscali sotto forma di sussidi per i prezzi di vendita e l’acquisto di terreni, la cui finalizzazione, insieme alla gestione degli aiuti economici per le attività in ricerca e sviluppo, è rinviata al XIII° piano quinquennale, pur considerando le differenze che potrebbero essere dettate dalla nuova presidenza di Xi Jinping.
Nel campo delle competenze accademiche, allo scopo di formare un gruppo di ricerca scientifico, il governo cinese ha aumentato il numero di posti disponibili per laureati disposti ad assistere in forma gratuita professori delle università americane, in modo particolare di quelle più avanzate nella ricerca sul gas di argille, come le università di Oklahoma, Stanford e Texas A&M. Parallelamente, anche le società cinesi attive nel settore inviano stagisti presso le corrispondenti società petrolifere statunitensi.
Sebbene la strategia energetica sia definita dal governo centrale, la sua esecuzione rimane imprevedibile a causa della delega dell’implementazione alle autorità locali, la cui responsabilità, spesso, non è definita con chiarezza o si sovrappone ad analoghe funzioni governative.
È probabile che per accelerare lo sviluppo della produzione, al gas di argille sia riservato il trattamento politico di “minerale indipendente” come accaduto per il metano non-convenzionale prodotto da carbone, per il quale è incoraggiata la concorrenza internazionale alle esplorazioni.
Rischi ambientali
La Cina è un’economia fondata sul carbone: nel solo 2011 sono stati prodotti 3,4 miliardi di tonnellate, pari al 47% dell’intera produzione mondiale. In termini di emissioni inquinanti, una tonnellata di carbone produce 2,86 tonnellate di anidride carbonica (Co2), mentre una tonnellata di gas da argille ne produce 1,57: il 45% in meno.
La riduzione delle emissioni di biossido di carbonio rappresenta per il governo cinese un motivo in più per raggiungere l’obiettivo produttivo prefissato per il 2015. Ad esso corrisponde una riduzione delle emissioni gassose di 14 milioni di tonnellate che libererebbe, in parte, le soffocate città cinesi ed eviterebbe l’adozione delle temute politiche di riduzione dei consumi energetici. Tuttavia, data l’assenza di alternative certe, il governo si è cautelato richiedendo un aumento della produzione di carbone del 15% entro il 2015.
Il rischio e maggiore timore degli investitori stranieri è rappresentato dalla legislazione ambientale, percepita come non all’altezza per lo sviluppo ecosostenibile del nuovo settore. Il 28 marzo 2012, l’allora primo ministro Wen Jiabao sollevò al congresso annuale del Partito comunista la necessità di dare maggiore considerazione ai rischi legati allo sviluppo del gas da argille (quali l’inquinamento delle falde acquifere dovuto agli additivi utilizzati durante la fratturazione verticale), piuttosto che concentrarsi esclusivamente verso il suo potenziale economico.
Pur contando per il 20% della popolazione mondiale, la Cina possiede solo il 6% delle risorse idriche globali. Inoltre, la scarsità d’acqua si è aggravata con l’inquinamento dovuto al prolungato boom economico. In queste condizioni, il 20% dell’acqua proveniente dai 7 principali fiumi e il 35% disponibile nei 26 maggiori laghi risulterebbe non utilizzabile per fini industriali o agricoli, imponendo al governo delle serie valutazioni su un eventuale sviluppo non controllato.
Un altro motivo di allarme proviene dalla stessa industria energetica, che impiega il 97% dell’acqua a propria disposizione per le più svariate finalità: raffreddamento delle centrali nucleari, produzione di pannelli solari oppure processi di lavaggio delle turbine a vapore degli impianti di produzione di energia elettrica alimentati a carbone.
I giacimenti di gas da argille posti nelle zone più aride potrebbero dar luogo a conflitti fra le popolazioni locali e le compagnie coinvolte nelle attività di trivellazione. Inoltre, le perdite di metano durante la stessa perforazione potrebbero fare insorgere le comunità, così annullando gli effetti benefici della riduzione delle emissioni di anidride carbonica.
Questioni geopolitiche
Le questioni geopolitiche riguardano lo sfruttamento dei giacimenti siti nei territori contesi con paesi confinanti, la riduzione della dipendenza energetica dai paesi mediorientali, il rafforzamento della posizione militare, il riequilibrio della bilancia energetica, infine l’acquisizione di capitali, competenze e tecnologie straniere a condizioni favorevoli.
Se la rivoluzione del gas da argille porterà gli Stati Uniti all’indipendenza energetica, soprattutto dalle importazioni mediorientali, e quindi anche al primato mondiale nella produzione di idrocarburi, la Cina potrebbe subirne le conseguenze. Potrebbe infatti essere costretta a lasciarsi coinvolgere di più in Medio Oriente, al fine di garantire la sicurezza delle vie di navigazione e di farsi carico dei costi di mantenimento, come già accadde agli Stati Uniti nella seconda metà del Novecento con il declino dell’Impero britannico. A meno che non siano confermate le previsioni circa la presenza di corposi giacimenti petroliferi australiani, che diminuirebbero la richiesta di approvvigionamento energetico cinese dall’area mediorientale.
Al tempo stesso, gli Usa sarebbero liberi di rischierare parte cospicua del proprio potenziale militare dal Medio Oriente verso il Sud-est Asiatico al fine di far fronte allerivendicazioni territoriali cinesi, magari limitandone lo sviluppo navale e scompaginando i piani espansionistici cinesi nell’area, spesso celati dietro alla necessità di mettere in sicurezza le rotte navali di proprio interesse.
Un altro aspetto di rilievo è quello riguardante la bilancia commerciale che, sebbene generi complessivamente un forte surplus, è negativa per quanto riguarda gli scambi di idrocarburi. Ciò rende necessario un incremento della produzione energetica interna capace di ridurre la dipendenza dalle importazioni.
La tecnologia rappresenta un altro elemento che ostacola lo sviluppo dell’industria del gas da argilla in Cina, per via della profondità dei giacimenti e della scarsità di acqua. Difficoltà che potrebbero essere risolte solo con l’aiuto delle società straniere che sono già in possesso di tali tecnologie, quali gli additivi ceramici (proppants) adatti ai pozzi profondi (high-pressure well) o la fratturazione senza utilizzo di acqua (waterless fracking).
La Cina rischia di perdere in un solo decennio quello che ha guadagnato in quasi 30 anni di sviluppo ininterrotto. Le spinte al cambiamento della politica cinese verranno dall’esterno e il governo sopravvivrà solo se saprà adattarsi.
Le rivoluzioni hanno sempre spazzato via il vecchio, e anche quelle energetiche lo faranno.
Fonte: repubblica.it/limes