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L’energy storage è un mondo al bivio: “Gli incentivi? Utili ma non in tutti i casi”

L’energy storage è un mondo al bivio: “Gli incentivi? Utili ma non in tutti i casi”

Milano T utto si può dire, ma non che gli operatori del neonato comparto dei sistemi di accumulo di energia siano scontati. Alla domanda: secondo voi, sono assolutamente necessari gli incentivi per far crescere l’industria di settore? La stragrande maggioranza di loro ha risposto: dipende, spiazzando tre settimane fa la platea dell’Energy Storage World Forum (Eswf) di Londra. Solo il 25% ha infatti espresso pieno sostegno nei confronti delle sovvenzioni, considerandole una priorità. A prima vista, una presa di posizione paradossale. Considerato che molte delle tecnologie storage presentate proprio al Forum continuano ad avere costi molto superiori rispetto ai rispettivi benefici. E, stando ai numeri, l’unica soluzione per renderle commercialmente redditizie su larga scala è quella di puntare sulla leva degli incentivi. Ma andiamo oltre. E scopriamo che, dietro l’apparente paradosso, il complesso mondo dell’energy storage nasconde non poche sorprese e qualche verità. A metterle a nudo è Kevin Popper, analista di Azure International, una delle principali società di investimento e di consulenza nel settore dell’energia green con sede in Cina: «Regolazione di frequenza, integrazione dell’energia rinnovabile nelle piccole reti insulari, sistemi off-grid per l’elettrificazione rurale e sistemi di continuità hanno già dimostrato in alcuni Paesi di essere economicamente sostenibili senza alcun contributo aggiuntivo», osserva l’esperto.

Il discorso cambia se però si prende in esame un ventaglio più ampio di applicazioni, tra cui quelle destinate all’integrazione dell’energia rinnovabile nelle grandi reti, al supporto dello sviluppo tecnologico, all’integrazione del fotovoltaico di piccola taglia, ai sistemi di gestione energetica commerciali e industriali. «Gran parte di esse sono molto poco economiche, almeno non senza una qualche forma di sussidio», avverte Popper. Emblematica, in questo senso, l’analisi elaborata dall’Autorità italiana per l’Energia e il Gas sul progetto di Terna in Puglia che prevede l’installazione di tre stazioni con tecnologia cosiddetta “sodio- zolfo” (Na/s). La disamina è lapidaria: i costi previsti superano di 4-5 volte i benefici. Secondo Popper, il nocciolo del problema gira intorno ad un paio di interrogativi: le tecnologie storage sono oggi in grado di sbloccare l’enorme potenziale del mercato globale dei sistemi di accumulo di energia? Queste tecnologie riusciranno mai a raggiungere il costo e le prestazioni necessarie per entrare in grandi mercati come quelli commerciali, residenziali, industriali e di gestione dell’energia? L’analista risponde così: «Se questi sistemi venissero supportati nella loro crescita con sussidi, ci sarebbe il rischio concreto di creare un settore sempre più dipendente dal sostegno pubblico. E sarebbe un enorme spreco di risorse. In questo caso, avrebbe più senso stanziare maggiori investimenti in ricerca e sviluppo». Anche se Azure, dopo aver esaminato i rendiconti di spesa di molte tecnologie storage, puntualizza che in alcuni casi il solo sostegno alla R&D non sarebbe l’approccio giusto. Sulla carta, infatti, esistono molte possibilità per ridurre i costi fino a renderli commercialmente convenienti. In che modo? Cogliendo le opportunità di business ripetibili su larga scala che, se sfruttate nel modo giusto, potrebbero “guidare” tale riduzione. Tradotto: sarebbe opportuno puntare su progetti mirati con un percorso chiaro e lineare, attraverso il quale è possibile stimare i ricavi ottenibili con l’uso di queste tecnologie per incentivare investimenti privati. Secondo Azure, saranno le politiche nazionali e regionali a far crescere radicalmente il mercato delle tecnologie di stoccaggio dell’energia. Ad esempio, la Germania ha messo da parte 50 milioni di euro in un biennio per sovvenzionare progetti di stoccaggio energetico combinati al solare. Mentre il Senato Usa ha introdotto un programma in grado di finanziare 7,5 miliardi di dollari per nuovi progetti di stoccaggio, per una capacità di circa 7,5 GWh. Anche il Giappone, dopo i guai provocati dal nucleare, ha aperto le porte allo storage mettendo sul piatto un finanziamento complessivo di 98,3 milioni di dollari. Si prevede che, entro il 2018, il Paese arrivi a quota 381 MW di capacità fotovoltaica combinata con lo stoccaggio, lasciando indietro gli altri mercati internazionali. Che il settore dei sistemi di accumulo abbia davanti un futuro promettente lo dice una ricerca di McKinsey la quale inserisce l’energy storage tra le dodici tecnologie in grado di cambiare il mondo. Lo confermano anche gli analisti di Lux Research che scommettono sulle applicazioni residenziali, le quali domineranno fino al 2018 arrivando entro quell’anno a 382 MW. Guarda addirittura più in là il rapporto di Ihs che evidenzia una crescita verticale dello storage entro il 2022, con più di 40 GW di sistemi di stoccaggio energetico per differenti impieghi. Oltre agli Usa, fa notare l’indagine, anche Germania e Giappone vedranno una larga diffusione dei sistemi di storage spinti dalla crescente domanda energetica e dai vantaggi derivanti dall’autoconsumo. Nel complesso, conclude il report, la più ampia diffusione di apparati e strutture per l’energy storage consentirà di equilibrare l’offerta delle rinnovabili nel quadro mondiale e di garantire un’offerta costante anche negli scenari più complessi. Per quanto riguarda le tecnologie adottate per gli accumulatori, il 64% degli impianti previsti entro il 2017 sfrutterà batterie agli ioni di litio. Per gli inverter integrati con sistemi di accumulo più di un terzo delle aziende prevede una crescita superiore al 10%.

Fonte: La repubblica

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