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Enel, Edf, Eon: così la sfida verde cambia l’Europa dell’energia

Enel, Edf, Eon: così la sfida verde cambia l’Europa dell’energia

La scorsa è stata una settimana cruciale per il futuro delle utility in Europa. Due avvenimenti avvenuti nelle stesse ore, uno a Parigi nella sede centrale di Edf e l’altro a Catania in uno dei campi fotovoltaici di Enel Green Power, possono essere presi ad esempio per spiegare quella che gli esperti hanno già definito la “rivoluzione energetica 2.0”. Destinata a trasformare nei prossimi 15 anni sia gli usi e i consumi di famiglie e imprese, sia le scelte industriali delle società del settore. Da Edf a Enel, da E.On a Vattenfall non c’è grande gruppo che non abbia intrapreso (o stia per farlo) un percorso che prevede di raggiungere – prima dei tempi previsti – lo status di azienda “decarbonizzata”. Il che significa: puntare la maggior parte dei futuri investimenti in rinnovabili, gestione delle reti intelligenti, sistemi di accumulo. Una strategia che punta anche allo sviluppo dei “Big Data”, mettendo le utility elettriche in diretta concorrenza con i giganti dell’hi-tech come Google o Facebook, sfruttando l’enorme mole di numeri e di informazioni che passano attraverso le reti elettriche.

Una rivoluzione su cui peserà nei prossimi anni soltanto una grande incognita: i costi dell’uscita dal nucleare, fonte che soddisfa ancora oggi almeno il 27 per cento della produzione di energia nell’Unione Europea. Il cammino dei prossimi anni lo ha tracciato molto chiaramente martedì 22 settembre, il ceo di Electricité de France, la prima utility

del Vecchio Continente per megawatt di produzione. Jean-Bernard Levy, manager di lungo corso nelle tlc e nei media, prima in France Telecomn e poi in Vivendi, ha riunito la prima fila dei dirigenti spiegando le strategia del gruppo per i prossimi 15 anni. Sviluppo delle rinnovabili puntando al raddoppio della produzione entro il 2030 (da 28 a 50 gigawatt), crescita internazionale avendo come obiettivo l’ingresso in almeno 8 nuovi paesi (ora è presente solo in Gran Bretagna, Italia e Stati Uniti), offerta di nuovi servizi ai clienti, dall’efficenza energetica delle abitazioni ai sistemi integrati di autoproduzione da fonte solare. Seguendo le indicazioni degli esperti i quali vedono le utility assomigliare sempre più agli operatori telefonici: in futuro la reddittività non arriverà dalla vendita di energia, ma da tutti i servizi accessori che saranno offerti alla clientela.

Si potrebbe anche dire che Edf arriva a sposare gli stessi obiettivi di cui l’amministratore delegato di Enel parla da più di un anno, da quando è stato chiamato alla guida dell’ex monopolista italiano dal governo Renzi. Non sarà un caso se Francesco Starace arriva da Enel Green Power, di cui ha guidato la quotazione in Borsa e la prima fase di sviluppo in giro per il mondo. Del resto, incentivi o meno, dicono gli ultimi studi, indietro sulle rinnovabili non si torna: secondo l’associazione Solar Europe Power, dopo il calo del 2013 e 2014, la potenza fotovoltaica installata crescerà a un ritmo compreso tra i 7 e i 17 gigawatt fino al 2020.

Ma anche l’eolico non sarà da meno, tanto è vero che è su questa tecnologia che punterà in particolare Edf. Levy conta di usare come traino della nuova politica del gruppo la conferenza sul cambiamento climatico che si terrà proprio a Parigi a fine anno: “La sfida per la riduzione delle emissioni di Co2 nel mondo è la più importante dei prossimi anni e di questo secolo”, ha dichiarato in una intervista al quotidiano economico Les Echos. I francesi giocano sul fatto che da sempre considerano il nucleare come energia “verde”, perché non produce emissioni di Co2. Ma il nucleare, che garantisce il 75 per cento della produzione di energia del paese, potrebbe diventare la spina nel fianco nella strategia transalpina.

Le 54 centrali atomiche hanno fornito nell’arco dell’ultimo trentennio (la maggior parte degli impianti francesi risale agli anni Ottanta) energia a basso costo garantendo un vantaggio economico alle imprese. Ma il mito del nucleare di Parigi comincia a perdere colpi. Levy, in carica da meno di un anno, si è preso l’impegno di inaugurare la nuova centrale in costruzione a Flamanville, sulla costa della Normandia, entro il 2018: peccato che i lavori siano di cinque anni in ritardo sulle previsioni e i costi addirittura triplicati a 10,5 miliardi. Per non parlare della crisi finanziaria che ha coinvolto Areva, la società costruttrice di centali nucleari, dopo l’incidente di Fukushina e che ora verrà in parte inglobata dalla stessa Edf. Ma il nuovo corso delle utility europee non è altro che un prendere atto dei cambiamenti tecnologici in corso e reagire alla crisi degli ultimi anni. Secondo un report di Citigroup dell’anno scorso, dal 2008 al 2014 le maggiori 20 aziende elettriche europee hanno perso la metà della loro capitalizzazione borsistica e il loro rating è stato declassato. Una crisi dovuta al calo della domanda di energia in seguito alla crisi, ma anche alla maggiore efficenza del sistema. Oltre, ovviamente, all’ascesa inarrestabile delle rinnovabili, sempre più competitive con le fonti fossili anche senza incentivi statali.

Lo sostiene, per esempio, uno studio realizzato da International Energy Agency e Nuclear Energy Agency che ha dimostrato, dati alla mano, come sempre più spesso fotovoltaico ed eolico siamo più economiche delle centrali termoelettriche alimentate da fonti fossili. Il costo di un megawatt di fotovoltaico in Cina è già oggi di 55 dollari, contro i 90 dollari di una centrale a gas e i 75 del carbone. Ma il sorpasso delle rinnovabili si misura anche per la sua connessione a tecnologie innovative. Lo ha spiegato Francesco Venturini, amministratore delegato di Enel Green Power mercoledì 23 settembre, inaugurando a Catania il primo impianto in Italia composto da un campo fotovoltaico connesso a un sistema di accumulo: in sostanza una batteria grande come un container (con una potenza fino a 2 megawatt), che immagazzina energia in eccesso e le rilascia quando c’è maggiore richiesta oppure nelle ore notturne quando l’impianto per definizione non è attivo.

“Siamo tornati indietro di 200 anni – ha spiegato Venturini quando con l’avvio della rivoluzione industriale, il motore a scoppio ebbe il sopravvento su quello elettrico. Ora stiamo assistendo alla sua rivincita”.

Tra l’altro, il mercato delle batterie (lo storage, per usare il suo nome tecnico internazionale) è quello con le maggiori potenzialità. Ci sono gli accumuli di dimensioni più ridotte per gli impianti di produzione solare o eolico, ma ci sono soprattutto le batterie legate alla gestione delle reti ad alta tensione. Secondo un report della società di consulenza Frost&Sullivan, il mercato degli accumuli per la rete crescerà di 18 volte nei prossimi dieci anni, passando dai 460 milioni di dollari del 2014 a 8,3 miliardi di dollari al 2024. Lo sviluppo rapido degli accumuli secondo alcuni studi – potrebbe definitivamente mettere fuorigioco le centrali a gas come fonte di produzione principale per garantire la stabilità del sistema elettrico. Anche in questo caso, l’Italia è apripista: il maggior impianto di storage in Europa – in attività – si trova in Sardegna: 20 megawatt a sostegno della rete ad alta tensione dell’isola sotto il controllo dei tecnici del gruppo Terna.

Come abbiamo visto, a guidare la pattuglia delle utility verso l’energia del futuro sono Italia e Francia. La Germania, che si era mossa in largo anticipo arrivando già cinque anni fa al 25 per cento di energia da fonti rinnovabili è una sorta di anatra zoppa. Le due aziende di punta del paese, E.On e Rwe due anni fa sono state prese alla sprovvista dalla decisione tutta elettorale del cancelliere Angel Merkel di fissare al 2022 l’uscita dal nucleare, che garantisce comunque un 16 per cento di fabbisogno elettrico. Con il decomissioning tutto a carico delle aziende. Il che ha complicato la situazione economica delle due società e gli investimenti. Anche la Gran Bretagna – dove il mercato è tutto in mano ai privati – ha l’urgenza di affrontare le nuove sfide energetiche.

Come la Germania, si era mossa in anticipo per compensare il calo della produzione di gas del Mare del Nord con nuovi impianti eolici off shore. Ma il governo conservatore ha virato negli ultimi due anni verso la costruzione di nuovi impianti nucleari e la ricerca di shale gas. Scelte che hanno sollevato più di una perplessità.

Lo shale gas è da trovare ed ferocemente osteggiato dalle associazioni ambientaliste. Contro il nucleare c’è stata l’opposizione a sorpresa dell’Austria: il governo di Vienna ha presentato ricorso alla Ue per aiuti di stato contro la Gran Bretagna: perché il progetto della nuova centrale nel Kent stia in piedi economicamente, il governo si è impegnato ad acquistarne l’energia a prezzo maggiorato per 35 anni. E l’Austria, che ha abbandonato il nucleare nel ‘ 78 pensa gli incentivi siano da destinare solo alle rinnovabili.

Fonte: La Repubblica

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