Cop 17 Durban
COP17: dure critiche degli ambientalisti sull’accordo finale
Il comunicato di Greenpeace International: Il vertice dell’ONU sul clima a Durban è finito allo stesso modo in cui è iniziato, con un fallimento. I governi riuniti alla Conferenza hanno scelto di ascoltare gli inquinatori piuttosto che il la gente, non riuscendo a rafforzare le precedenti misure per salvare il clima ed evitando nuove normative specifiche. Nonostante le proteste che hanno riempito i corridoi del centro congressi gli scorsi giorni, gli inquinatori hanno vinto questo giro di colloqui con i politici, facendo scarsi progressi su un accordo globale per affrontare i cambiamenti climatici. Due anni fa a Copenaghen, i politici avevano promesso l’istituzione di un finanziamento da 100 miliardi di dollari per aiutare i Paesi più poveri ad adattarsi e ridurre gli effetti del cambiamento climatico. A due anni da tale promessa sono giunti a Durban solo con l’intento trovare il modo per raccogliere e distribuire i soldi. Per poi scoprire che non sono neppure riusciti a di far quello. Se i dettagli dei colloqui possono essere complessi, la verità è semplice. Non siamo per niente vicini a dove dovremmo essere per evitare cambiamenti climatici catastrofici. Primi fra coloro che hanno bloccato il successo dei negoziati sono di gran lunga gli Stati Uniti, che chiaramente operano agli ordini dei cartelli del CO2. I loro rappresentanti non meritano neppure di farsi vedere. Altri potenti governi e blocchi politici, come l’UE, la Cina e l’India dovrebbero averli già scavalcati, unendo le forze con i più vulnerabili sulla strada in sviluppi concreti. “La notizia triste è che i i Paesi che bloccano tutto, guidati dagli Stati Uniti, sono riusciti a inserire una clausola di vitale importanza che potrebbe facilmente impedire al prossimo grande accordo sul clima di essere giuridicamente vincolante. Se si dovesse ricorrere a questa scappatoia, il disastro sarebbe inevitabile. E l’accordo stilato andrebbe implementato a partire ‘dal 2020’, lasciando poco spazio per aumentare il livello dei tagli di CO2 in questo decennio, quando secondo gli scienziati avremo il picco di emissioni”, ha dichiarato Kumi Naidoo, direttore esecutivo di Greenpeace International. “I rappresentanti governativi dovrebbero vergognarsi. Tornando a casa, come potranno...
read moreCOP-17: Majority of nations agree with each other, Unep says
NEGATIVITY over the slow progress of United Nations climate change talks often discounted the fact that, amid the conflict between a few nations, the majority generally agreed with each other, United Nations Environmental Programme (Unep) executive director Achim Steiner said in Durban on Tuesday. Mr Steiner is in SA’s major port city to attend COP-17 at which heads of state, including President Jacob Zuma and European Union climate action commissioner Connie Hedegaard, are expected to speak in a plenary session on Tuesday afternoon. “Just because a few countries are not able to agree, does not mean most don’t …In a sense we are trying to construct an unprecedented thing. More than 190 countries must agree (by international treaty) …to fundamentally change their economies,” said Mr Steiner, who is also UN under-secretary general, in an interview with Business Day. The world still had to grow confidence in its ability to ensure economic development within a “low-carbon” paradigm, Mr Steiner said. According to research Unep released in November the world was facing a 44gigatonne gap between what has been pledged by the almost 200 nations taking part in the negotiations in Durban, and what is needed to hold at bay the damaging effects of climate change. Mr Steiner said while nongovernmental groups and activists were pressing for a reduction in the emission of gases linked to average global warming that would maintain global warming at a maximum of 1,5C instead of the accepted 2C, the latter average rise was already a big ask. “The (2009) Copenhagen (climate change talks) for the first time affirmed a scientific target, a floor or minimum – the 2C – and that will evolve over time …According to the IPCC’s (Intergovernmental Panel on Climate Change’s) work, we probably do need to raise ambition, but 2C is already a major milestone,” he said. Climate Action Network, a collaboration between approximately 700 nongovernmental organisations, said in a newsletter distributed in Durban’s International Convention Centre on Tuesday, that the “gigatonne gap” had to be closed, or the average global temperature would rise 4C or more. This could be done by...
read moreLe ultime da Durban: Preoccupante la posizione degli Usa
A Durban (Sud Africa) si apre la seconda e decisiva settimana per i negoziati sul clima e nonostante gli scienziati in varie conferenze si siano spesi per far comprendere la gravità della situazione e le conseguenze del riscaldamento del pianeta (tra l’altro a questo punto non siamo più nel campo delle previsioni ma dell’osservazione diretta), non sono attese sorprese positive tali da far passare il vertice Cop 17 alla storia. Quello sudafricano è purtroppo un altro incontro di passaggio, dove tiene banco l’ordinaria amministrazione anche se continuiamo a sperare di essere seccamente smentiti. In attesa che le trattative entrino nel vivo (da domani dopo il terreno preparato dai “facilitatori” saranno i ministri dell’ambiente a scendere direttamente in campo), in uno scenario abbastanza povero di eventi, sono da evidenziare una conferma e una mezza notizia. La conferma riguarda la posizione dell’Europa sul post protocollo di Kyoto. L’Unione europea si è dichiarata disponibile ad estendere i suoi impegni al termine della scadenza, alla fine del 2012, a patto che i grandi inquinatori (Cina e Stati Uniti in testa) si assumano le loro responsabilità e siano parte trainante di uno protocollo vincolante che dovrebbe entrare in vigore entro il 2020, al termine del ciclo di impegni volontari. La mezza notizia riguarda il piccolo passo in avanti (zeppo di vincoli) fatto dalla Cina. Il leader della delegazione cinese, Xie Zhenhua, ha dichiarato che il Paese adempierà seriamente alle responsabilità e ai doveri internazionali al fine di contribuire al massimo per la protezione del clima globale, e ha aggiunto che la Cina dopo il 2020 potrebbe anche negoziare un documento giuridicamente vincolante, a patto che ci siano nuovi impegni al taglio delle emissioni di carbonio da parte dei paesi ricchi (la Cina ribadisce di essere un paese in via di sviluppo) insieme alla messa sul tavolo di centinaia di miliardi di dollari di finanziamenti per il clima a disposizione dei paesi più poveri. Il riferimento è alle cosiddette “fast start” di $ 30 miliardi per il periodo 2010-2012 e al Fondo verde per il clima $ 100 miliardi l’anno entro il 2020. Tale cifra...
read moreCop 17: le foreste sono una priorità per Londra
La Gran Bretagna ha deciso di investire 10 milioni di sterline (circa 11,6 milioni di euro) per fermare la deforestazione in Brasile, proteggere la biodiversita’ e ridurre le emissioni di CO2. Lo ha affermato il segretario di stato per gli Affari Esteri britannico, Caroline Spelman, durante un incontro tecnico che si e’ tenuto alla Cop 17 di Durban. Secondo il segretario non si può avere successo nella lotta ai cambiamenti climatici senza risolvere il problema della deforestazione. I soldi aiuteranno i contadini della regione di Cerrado, nel Brasile centrale, a rigenerare l’habitat naturale, prevenire gli incendi e arrestare il bisogno sempre crescente di terre...
read moreLa Cina riapre i giochi e ora la palla passa all’Unione Europea
Al termine della prima settimana di colloqui sul clima nel vertice delle Nazioni Unite a Durban e anche il WWF si è unito alle migliaia di cittadini che sabato da tutto il mondo sono giunti a Durban, in Sud Africa per ricordare pubblicamente ai negoziatori e ai leader che è inaccettabile ritardare l’azione sui cambiamenti climatici. «I negoziatori che hanno condotto le trattative la prima settimana erano tecnici, spesso persi nei dettagli. Da domani cominceranno ad arrivare i ministri, la musica deve cambiare, e va della credibilità di ministri e negoziatori stessi. Il messaggio e i risultati di Durban devono rispondere alle attese dei popoli del mondo, preoccupati per il cambiamento climatico, e ancor più a quelli della comunità scientifica, da cui giungono allarmi sempre più pressanti», ha detto Mariagrazia Midulla, responsabile Policy Clima ed Energia del WWF Italia. La Cina ha riaperto i giochi. Il vice ministro dello sviluppo economico cinese Xie Zhenhua, capo della delegazione cinese alla COP17, in un incontro con le organizzazione non governative, ha annunciato che la Cina potrebbe essere disponibile a considerare impegni legalmente vincolanti a certe condizioni, tra cui l’impegno dell’Unione Europea e altri a ratificare un secondo periodo di impegni del protocollo di Kyoto e il finanziamento a breve termine di 30 milioni di dollari per i Paesi in Via di Sviluppo, con l’intenzione di avviare un processo per elevare tale impegno a 100 milioni di dollari per il 2020. L’esponente cinese ha anche sottolineato che va rispettato il principio di equità. «Ora la palla passa prima di tutto all’Unione Europea, che deve far corrispondere a questi segnali atti positivi e concreti: la volontà reale di confermare un secondo periodo di impegni di Kyoto, seguita da un adeguamento degli obiettivi di riduzione delle emissioni, oggi troppo deboli. Ovviamente la posizione cinese rende ancor meno giustificabile –ma già non lo era- quella di Russia, Giappone e Canada, contrari a un secondo periodo di impegni di Kyoto; e isola anche gli Stati Uniti», sottolinea Midulla. Lo stato attuale del testo negoziale dimostra che le principali questioni politiche nei negoziati sono ancora irrisolte. «I negoziatori devono...
read moreClimate change is a matter of justice
Before the Copenhagen climate change summit two years ago, the two of us sat together in Cape Town to listen to five African farmers from different countries – four of whom were women – tell us how climate change was undermining their livelihoods. Each explained how floods and drought, and the lack of regular seasons to sow and reap, were outside their normal experience. Their fears are shared by subsistence farmers and indigenous people worldwide – the people who are bearing the brunt of climate shocks, even though they played no part in causing them. Now, two years later, we are in Durban, where South Africa is hosting this year’s climate change conference, COP17, and the situation for poor people in Africa and elsewhere has deteriorated even further. In its latest report, the United Nations Intergovernmental Panel on Climate Change concludes that it is virtually certain that, in global terms, hot days have become hotter and occur more often; indeed, they have increased in frequency by a factor of 10 in most regions of the world. Moreover, the brutal paradox of climate change is that heavy precipitation is occurring more often as well, increasing the risk of flooding. Since 2003, east Africa has had the eight warmest years on record which is no doubt contributing to the severe famine that now afflicts 13 million people in the Horn of Africa. These are the consequences that a mere 1C of warming above pre-industrial levels have wrought. The UN Environment Programme’s recently published report, Bridging the Emissions Gap, shows that over the course of this century, warming will likely rise to 4C unless we take stronger action to cut emissions. Yet the latest evidence demonstrates that we are not acting – the International Energy Agency’s World Energy Report 2011 reveals that CO2 emissions have rebounded to a record high. We are alarmed that expectations for COP17 are so low. Where is the global leadership that must respond urgently? We desperately need a global deal. At the heart of this deal is the preservation of the Kyoto protocol. The protocol is not a...
read moreCnr a Durban: inquinamento in forte aumento sull’Himalaya
Il CNR annuncerà durante la conferenza per i cambiamenti climatici un forte incremento di inquinamento sul tetto del mondo. Dal 2006 al 2010 infatti, nella regione dell’Everest si sono registrati oltre 150 giorni caratterizzati da picchi di inquinamento. I dati sono emersi da cinque anni di ricerche del progetto Share, promosso da Comitato Ev-K2-Cnr che verranno presentati domani 4 dicembre, a Durban nell’ambito del Cop 17, la Conferenza delle Parti sui Cambiamenti Climatici delle Nazioni Unite. L’inquinamento atmosferico incide pesantemente sulla salute delle montagne della catena himalayana, che contiene enormi riserve di acqua dolce e che alimenta i più importanti fiumi della regione. L’aumento dei gas ad effetto serra a 5000 metri di quota – continua il Cnr – manda segnali preoccupanti sulla salute dei ghiacciai perenni, vulnerabili all’inquinamento persino a 5.050 metri di altitudine, nel cuore della regione himalayana. È quanto sta osservando da più di cinque anni il Progetto Share, coordinato da Paolo Bonasoni dell’Istituto di Scienze dell’Atmosfera e del Clima del Consiglio Nazionale delle Ricerche (ISAC-CNR), grazie al costante monitoraggio di composti inquinanti e clima-alteranti presso la stazione globale GAW-WMO, con la caratteristica forma i piramide (nella foto), posta a 5079 metri di quota in Nepal, alle pendici del Monte Everest. Secondo i risultati raccolti nell’ambito del Progetto Share tra marzo 2006 e dicembre 2010 si sono registrati oltre 164 giorni di inquinamento acuto, pari al 9% del totale del periodo analizzato, per lo più localizzati durante la stagione pre-monsonica (primaverile) quando si verifica il 56% dei giorni caratterizzati da picchi di inquinamento. Rispetto alla normalità, in questi giorni le concentrazioni dell’ozono aumentano del 29%, quelle del black carbon del 352%. Dati significativi soprattutto se si considera che entrambi i composti rivestono ruoli importanti sia come inquinanti, avendo effetti diretti sugli ecosistemi e sulla popolazione, sia come forzanti climatiche. L’ozono troposferico, infatti, è riconosciuto come il terzo più importante gas a effetto serra antropico, mentre le particelle di black carbon possono interagire direttamente con la radiazione solare, modificare le proprietà micro-fisiche delle nubi ed influenzare il rateo di scioglimento di nevi e ghiacciai nelle aree montane...
read moreCan the Durban Climate Negotiations Succeed?
Two weeks of international climate negotiations begin today in Durban, South Africa. These are the Seventeenth Conference of the Parties (COP-17) of the United Nations Framework Convention on Climate Change (UNFCCC). The key challenge at this point is to maintain the process of building a sound foundation for meaningful, long-term global action, not necessarily some notion of immediate, highly-visible triumph. In other words, the answer to the question of whether the Durban climate negotiations can succeed depends — not surprisingly — on how one defines “success.” Let’s Place the Climate Negotiations in Perspective Why do I say (repeatedly, year after year) that the best goal for the climate talks is to make progress on a sound foundation for meaningful, long-term global action, not some notion of immediate triumph? The reason is that the often-stated cliche about the American baseball season — that it’s a marathon, not a sprint — applies even more so to international climate change policy. Why? First, the focus of scientists (and policy makers) should be on stabilizing concentrations at acceptable levels by 2050 and beyond, because it is the accumulated stock of greenhouse gas emissions — not the flow of emissions in any year — that are linked with climate consequences. Second, the cost-effective path for stabilizing concentrations involves a gradual ramp-up in target severity, to avoid rendering large parts of the capital stock prematurely obsolete. Third, massive technological change is the key to the needed transition from reliance on carbon-intensive fossil fuels to more climate-friendly energy sources. Long-term price signals (most likely from government policies) will be needed to inspire such technological change. Fourth and finally, the creation of long-lasting international institutions is central to addressing this global challenge. For all of these reasons, international climate negotiations will be an ongoing process, not a single task with a clear end-point. Indeed, we should not be surprised that they proceed much as international trade talks do, that is, with progress only over the long term, building institutions (the GATT, the WTO), yet moving forward in fits and starts, at times seeming to move backward, but...
read moreWho is meeting in Durban?
Some questions and answers about the climate talks being held in South Africa’s eastern city of Durban that opened Monday and close on Dec. 9. Q: Who is meeting in Durban? A: Negotiators from the European Union and 191 countries making climate change policy under the auspices of the United Nations Framework Convention on Climate Change. Thousands of activists and experts are there to observe, advise and protest. The meeting is not a summit, but some heads of state will come, and government ministers from about 100 countries will attend the final days next week. Q: What are the main points of contention? A: Whether industrial countries will extend their commitments to further reduce the carbon emissions that cause global warming after their current commitments under what is known as the Kyoto Protocol expire next year. Most wealthy countries have said agreement is conditional on developing countries like China, India and Brazil accepting that they, too, must accept legally binding emissions restrictions. Whether progress will be made on a Green Climate Fund to help poor countries cope with climate change. A committee of 40 countries worked for the past year on drawing up a plan to administer the fund, but agreement on the final paper was blocked by the United States and Saudi Arabia, and the final contentious issues will have to be worked out in Durban. Q: What is the Kyoto Protocol? A: Under this measure adopted in Kyoto, Japan in 1997, industrialized nations are required to reduce their carbon emissions. The United States has never signed Kyoto, but is participating in the Durban talks. Q: What is climate change? A: The overwhelming majority of climate scientists say the earth’s surface temperatures have been rising rapidly because man is burning fossil fuels such as coal and oil. Studies show the rising heat already has led to animals migrating, crop yields decreasing, glaciers shrinking and shore lines shifting. Developing nations, where overwhelmingly poor populations are vulnerable and infrastructure is fragile, are particularly hard hit, leading to calls on industrialized nations that got a head start on pumping greenhouse gases...
read moreA Durban i conti con le conseguenze del surriscaldamento del pianeta
Siccità, inondazioni, alluvioni, ondate di caldo: negli ultimi 20 anni, tra il 1991 e il 2010, la Natura ha presentato il conto ai meno abbienti, Bangladesh, Myanmar, Honduras, che hanno tributato il maggior numero di vite umane ai disastri climatici. Ma già dall’anno scorso, anche i paesi più solidi hanno cominciato a fare i conti con le conseguenze del surriscaldamento del pianeta: le 56.165 vittime dirette dell’afa che ha colpito l’anno scorso la Russia portano la nazione di Putin al quarto posto nella classifica compilata da Germanwatch, organizzazione non governativa tedesca, per determinare l’Indice globale di rischio climatico. Per semplificare: la graduatoria dei paesi che hanno sofferto di più, in termini di perdite umane e materiali. CLASSIFICHE DISASTROSE – Per il 2010 ai poco ambiti vertici della lista si sono classificati il Pakistan, il Guatemala e la Colombia. Ma in settima e ottava posizione ci sono due nuovi ingressi: Polonia e Portogallo. Il messaggio è che una catastrofe atmosferica può capitare ovunque, con conseguenze devastanti, anche nelle nazioni sviluppate e sufficientemente attrezzate per proteggersi dalle ritorsioni del pianeta alle emissioni di gas a effetto serra. Il bilancio presentato martedì a Durban, al secondo giorno della conferenza sul clima (COP17), è angosciante: in dieci anni 710 mila persone, l’equivalente della popolazione di una città delle dimensioni di Amsterdam o dell’intera provincia di Modena, sono state sterminate dalle 14 mila catastrofi naturali che hanno flagellato il mondo. Non tutte sono imputabili ai cambiamenti climatici ma, secondo Bettina Menne, responsabile del Cambiamento climatico, sviluppo sostenibile e salute dell’Oms-Europa, almeno 300 mila morti (il doppio del decennio precedente) sono indirettamente provocate dal riscaldamento generato dalle attività umane e all’origine di carestie, siccità ed epidemie. IRREVERSIBILE – All’Organizzazione Meteorologica delle Nazioni Unite (WMO), non hanno dubbi sul fatto che l’umanità stia galoppando verso un surriscaldamento dai danni irreversibili per l’ecosistema. Negli ultimi quindici anni si concentrano tredici anni dalle temperature medie più alte registrate in oltre un secolo e mezzo, cioè dal 1850, l’anno in cui cominciarono le misurazioni più attendibili. E il 2011 avrà contribuito entro poche settimane all’innalzamento della media, come uno degli anni...
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