COP21 Tra ostacoli e opportunità, il grande passo dell’Umanità
di Francesco Rutelli
I leader del mondo hanno aperto la Conferenza sul Clima di Parigi: tensioni e paure non possono offuscare l’importanza storica di un appuntamento “condannato al successo”. Ovvero, dopo la serie di 20 COP che hanno fatto piccoli passi – così si chiamano le Conferenze mondiali annuali dei paesi partecipanti – a Parigi occorre fare un grande passo. Decisivo, e nella direzione giusta. Ci si riuscirà?
Il primo cambiamento è di forma: i leader parlano subito, e non alla fine. Secondo alcuni, può servire a dare l’impronta di una forte volontà politica al negoziato, diversamente dal fiasco della COP 2009 di Copenaghen, dove gli interventi finali sono arrivati tardi, su una trattativa mal impostata, a frustrare aspettative enormi.
Il secondo cambiamento è di sostanza: più che su un Accordo vincolante ed universale che metta 200 Stati sullo stesso piano, a Parigi si punta su impegni concreti -ma volontari e non legalmente vincolanti- di ciascuna Nazione del Pianeta. Ma la cornice giuridica dev’essere credibile, e dunque impegnare la comunità internazionale a realizzare gli obiettivi, non a prometterli soltanto.
Le difficoltà principali che io vedo: 1. La diversità degli impegni di ciascuno. C’è chi punta sulla riduzione delle emissioni, chi sulla traiettoria di aumento previsto delle emissioni, chi sulla riduzione dell’intensità energetica; c’è chi si impegna per il 2020, chi per il 2030, chi per un futuro più remoto. E chi non s’impegna, in nome di un “diritto allo sviluppo” che coincide con un presunto diritto a inquinare, di cui avevano a lungo goduto i Paesi più sviluppati. Risultato: anche se tutti gli obiettivi finora assunti venissero rispettati, la temperatura media globale salirebbe a fine secolo ben oltre i 2° ritenuti la soglia invalicabile. 2. Il rifiuto di adottare un prezzo universale sulle emissioni di CO2; basso, equilibrato, però in grado di incentivare una graduale, e certa, transizione dalle fonti energetiche fossili. 3. Il labirintico processo diplomatico che allontana l’opinione pubblica globale dalla mobilitazione per l’ambiente e il Clima: procedure bizantine, linguaggio incomprensibile, obiettivi poco trasparenti e poco verificabili. Non da ultimo, un “buco” di 5 anni tra la firma dell’Accordo di Parigi e la sua entrata in vigore, nel 2020. Non è un caso, insomma, se oltre il 70% degli italiani dichiara di non sapere nulla della COP 21.
Le opportunità principali che vedo: 1. I Presidenti delle due maggiori potenze economiche, e maggiormente inquinatrici – USA e Cina – hanno interessi diversi, ma entrambi l’interesse a un progresso decisivo. Obama, per lasciare un impronta “verde” al suo fine mandato (nonostante le difficoltà col Congresso). Xi Jinping, perché l’inquinamento delle città cinesi impone di contribuire in tempi rapidi al disinquinamento dell’aria, con effetti globali. 2. Le diversità dei contributi previsti possono comportare più pragmatismo ed efficacia nelle soluzioni e nelle politiche. Tra queste: eliminare rapidamente i gas HFC (enormemente inquinanti, e industrialmente sostituibili); finanziare con il Fondo che sarà promosso a Parigi un drastico stop alla deforestazione tropicale; mobilitare i paesi più ricchi per abbattere lo spreco alimentare; moltiplicare gli impegni del settore privato; varare un programma di “rinverdimento urbano” tra tutte le grandi città del mondo. L’Unione Europea dovrebbe accelerare risolutamente e in modo visionario i programmi dell’Unione Energetica del nostro continente, favorendo al contempo la competitività industriale. Obiettivi concreti e verificabili, insomma, sarebbero meglio compresi e recepiti da parte dei cittadini, anche in termini di un migliore stile di vita, e delle opportunità di lavoro e sviluppo legate alla Green Economy. 3. Il trauma dei selvaggi attentati di Parigi obbliga tutti i negoziatori a dare una risposta di civiltà e di collaborazione. Le riforme ecologiche sono una risposta positiva; anche all’appello, pressante e moderno, di Papa Francesco.