Cop 24: da Parigi a Katowice il clima è sempre più bollente
Marzio Galeotti e Alessandro Lanza
L’Organizzazione meteorologica mondiale ha annunciato un nuovo record per la concentrazione di CO2 in atmosfera. L’annuncio arriva alla vigilia della Cop 24 di Katowice, dove saranno in discussione importanti temi legati all’accordo di Parigi. Da lunedì 3 dicembre a Katowice (Polonia) va in scena la Conferenza Onu sul clima (Cop 24). L’obiettivo principale di questa Cop, che è la conferenza annuale dei paesi firmatari della Convenzione Onu sui cambiamenti climatici, è un accordo sulle regole per attuare l’Accordo di Parigi del 2015. Nonostante l’importanza delle questioni da discutere e soprattutto della posta in gioco, gli osservatori non nutrono grandi aspettative circa l’esito di questo ennesimo incontro. Che si apre con tre premesse non incoraggianti in una “location” non propizia da un punto di vista simbolico.
Tre rapporti allarmanti
Il 20 novembre l’organizzazione meteorologica mondiale (Wmo) ha annunciato che per la prima volta da migliaia di anni la concentrazione annua media globale di CO2 nell’atmosfera ha raggiunto nel 2015 il traguardo insieme simbolico e significativo di 400,3 ppm (parti per milione). Il valore era già stato raggiunto per alcuni mesi in alcune località negli anni passati, ma mai prima su base globale per l’intero anno. I dati degli anni seguenti sono ancora più preoccupanti: 403,3ppm nel 2016 e 405,5 nel 2017 (previsione).
Il picco di crescita della concentrazione è stato alimentato dall’evento climatico conosciuto come El Niño, iniziato nel 2015 e conclusosi nel 2016. Il fenomeno, ben noto nella letteratura scientifica, ha provocato siccità nelle regioni tropicali e ridotto la capacità di assorbimento di foreste e oceani. Questi “pozzi” – che raccolgono circa la metà delle emissioni di CO2 – sono a rischio di saturazione, il che aumenterebbe la frazione di anidride carbonica emessa che rimane nell’atmosfera.
La notizia sulla concentrazione di CO2 nell’atmosfera segue la pubblicazione all’inizio di ottobre del rapporto Ipcc sugli impatti del riscaldamento globale di 1,5 gradi. Redatto da un qualificato gruppo di scienziati che nelle diverse discipline si occupano di cambiamenti climatici in tutti i loro aspetti (mitigazione, adattamento, politiche economiche e sociali), il rapporto sintetizza la recente letteratura scientifica a beneficio dei decisori politici, economici e sociali. Vi compare un’informazione particolarmente interessante: se come limite all’incremento della temperatura dovesse essere assunto +1,5°C, c’è il rischio concreto che nel momento della pubblicazione dell’atteso e tradizionale rapporto Ipcc, probabilmente nel 2023, il “carbon budget” necessario per mantenere l’incremento delle temperature medie globali al di sotto dell’intervallo possa già essere stato esaurito.
Ma un altro rapporto scientifico, altrettanto significativo seppure per ragioni differenti, è stato pubblicato da 13 agenzie federali Usa il 23 novembre, delegato dal Congresso e reso pubblico dalla Casa Bianca. Il messaggio centrale è che i cambiamenti climatici potrebbero ridurre di un decimo il Pil statunitense entro il 2100, più del doppio delle perdite della grande recessione di un decennio fa. Due le aree di maggior impatto: commercio estero e agricoltura, con la farm belt tra le regioni più colpite. Il rapporto contiene conclusioni che sono direttamente in contrasto con le politiche e le convinzioni di Donald Trump, anche se gli scienziati che vi hanno lavorato annotano che i funzionari dell’amministrazione non sembrano aver cercato di alterarne le risultanze. Difficile tuttavia evitare il sospetto che la diffusione del rapporto – alle 14 del giorno dopo il Ringraziamento – sia stata progettata per minimizzarne l’impatto pubblico.
Verso Katowice
Resta il fatto che il rapporto potrebbe diventare un potente strumento legale per chi si oppone agli sforzi di Trump di smantellare la politica sui cambiamenti climatici, anche in vista della Conferenza Onu sul clima (Cop 24) che si apre fra 3 giorni a Katowice in Polonia. Per pura ironia della sorte, si tratta di un luogo che si trova a 150 chilometri dalla più grande centrale elettrica a carbone d’Europa, che nell’aprile 2014 era stata indicata dalla Commissione europea come “la centrale elettrica più dannosa per il clima nell’Unione europea”.
In linea di principio, la riunione ha diversi elementi di interesse. Il lavoro più importante e urgente riguarda il completamento del cosiddetto “Paris Agreement Work Programme” (Pawp) ovvero il “Programma di lavoro per gli accordi di Parigi” che serve per rendere operativo l’accordo: modalità, procedure, linee guida, quello che cioè è stato definito il “rulebook” dell’accordo. Il Pawp include molte questioni relative alla mitigazione, all’adattamento e al sostegno ai paesi in via di sviluppo.
Così come era avvenuto con il protocollo di Kyoto, l’accordo di Parigi, siglato nel 2015, ha richiesto e probabilmente richiederà altri incontri con l’obiettivo di puntualizzare meglio diverse questioni aperte. La nuova posizione dell’amministrazione americana non aiuta il processo e anche fra le nostre mura il dibattito sull’accordo sembra essere sparito dal radar. D’altra parte, la parola clima non è mai citata nel contratto giallo-verde “per il governo del cambiamento”, anche se si ritrova il termine “cambiamento climatico” nella sezione intitolata “Ambiente, green economy e rifiuti zero”. Per il contrasto al cambiamento climatico ci si limita a dire che “sono necessari interventi per accelerare la transizione alla produzione energetica rinnovabile e spingere sul risparmio e l’efficienza energetica in tutti i settori”, una frase così generica da essere perfetta forse per un programma elettorale, ma non di certo per un programma di governo.
(Pubblicato su La Voce.info del 30 novembre 2018, Cortesia dell’autore)