Clima: accordo a parigi dopo tanti fallimenti. come giudicarlo? un primo commento
di Francesco Rutelli
L’intesa unanime trovata a Parigi ha un segno positivo. In termini di consapevolezza e di condivisione degli obiettivi (una crescita della temperatura media che non deve raggiungere i 2°), è un traguardo che mancava da troppi anni, e tiene unita la comunità internazionale, pur divisa da interessi strategici molto diversi: dagli inquinatori storici e i nuovi grandi emettitori ai paesi poveri e alle piccole isole. Vanno però approfonditi bene i contenuti tecnici.
E, soprattutto, gli impegni effettivi. Aspetto molto critico: la verifica sul rispetto di questi impegni – attenzione: senza sanzioni – da parte di ciascun Paese ci sarà solo tra dieci anni?
Il fatto che non si fissi il traguardo di dare un prezzo al carbonio, ovvero al principale fattore di inquinamento del’atmosfera del nostro Pianeta, renderà difficilissima la de-carbonizzazione (graduale, ma irreversibile) che è necessaria, imponendo che il finanziamento delle misure per la transizione energetica e per il sostegno ai paesi colpiti dai cambiamenti climatici scaturisca dal contributo degli Stati (e dalla buona volontà delle imprese), più che da un percorso economico e ambientale irreversibile.
Insomma: vedremo se l’Accordo è un buon manifesto politico globale, un buon momento di unità tra Nazioni solitamente divise, ma se ha i “denti” necessari per mordere i processi che ci portano a bruciare combustibili inquinanti destinati a restare per secoli nell’atmosfera, cancellare foreste tropicali, veder innalzare i livelli dei mari, crescere le desertificazioni e i fenomeni estremi. Faremo presto un’analisi obiettiva e precisa delle novità, delle opportunità e delle difficoltà.