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Grandi speranze sul clima

Grandi speranze sul clima

di Galeotti e Lanza

Dal 30 novembre all’11 dicembre a Parigi si discuterà di clima. Le speranze sono molte, ma la possibilità di un accordo dipende dalla soluzione della dicotomia tra responsabilità storiche ed emissioni attuali. La Conferenza segnerà al massimo l’inizio di un processo lungo e ancora irto di difficoltà.

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Conferenza – COP21: failure or success?

Conferenza – COP21: failure or success?

Si è tenuta il 15 ottobre 2015, presso il Palais du Luxembourg, sede del Senato Francese a Parigi, la conferenza “COP21: un fallimento annunciato…o un accordo dell’ultimo minuto?” organizzata dal Istituto Europeo dei Democratici in collaborazione con il Centro per un Futuro Sostenibile. Nel corso della conferenza, che si è svolta un mese e mezzo esatti prima dell’inizio della Conferenza sul clima di Parigi COP21,  importanti personalità politiche ed esperti appartenenti a molte primarie Organizzazioni europee si sono confrontati con l’obiettivo di analizzare i rischi e le opportunità legate al successo della prossima COP21.

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The global climate agenda: the European way to Paris COP21

The global climate agenda: the European way to Paris COP21

di Davide Triacca

Within the complexity of climate negotiations, which is intrinsically linked to the requirement that the governments of the world respond to the threat of climate change in unison, there are some certainties worth reemphasising. The first – and most well-known – of these is the commitment to capping the maximum increase of the world’s average temperature at two degrees centigrade (in comparison with pre-industrial levels, or at just 1.4 degrees centigrade in comparison with current temperatures) in order to prevent dangerous human interferences with the climate system of the planet. An increase in excess of these parameters would jeopardise fundamental elements that the developed West takes “for granted”, such as the production of food or the normal shape of our coastlines. Over the last 150 years, human activities have produced considerably more greenhouse-gas emissions (with carbon dioxide accounting for the lion’s share of these) than were generated in the rest of our planet’s history.

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Memoria corta sul prezzo del petrolio

Memoria corta sul prezzo del petrolio

Davvero il prezzo del petrolio subisce variazioni preoccupanti? Negli ultimi tre mesi l’oscillazione non ha mai raggiunto l’8 per cento. Si tratta di una crisi di nervosismo del mercato, non di un fenomeno collegato a fatti specifici. Lezioni dal confronto con situazioni critiche del passato.

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Obama e l’inquinamento, bravo ma non esageriamo

Obama e l’inquinamento, bravo ma non esageriamo

di Alessandro Lanza

Nel corso della conferenza di Lima sui cambiamenti climatici (COP20) dello scorso anno i paesi che fanno parte dell’accordo si sono impegnati a presentare quelli che nel gergo della negoziazione vengono chiamati Indcs (Intended Nationally Determined Contributions), ovvero i progetti di riduzione delle emissioni di gas-serra che essi intendono portare alla conferenza di Parigi (COP21) nel dicembre di quest’anno in vista di un auspicato nuovo accordo globale.

Energia elettrica pulita

All’inizio di agosto il presidente Obama ha a sorpresa presentato nuove misure che si inseriscono nel quadro dell’Indc degli Stati Uniti. Esse prevedono una riduzione delle emissioni di gas-serra pari al 26-28 per cento in CO2eq entro il 2025 rispetto ai livelli del 2005. Il nuovo Clean Power Plan è un piano molto articolato frutto del lavoro di mesi da parte dell’Agenzia per la protezione ambientale (Epa). Si tratta – per sommi capi – di un piano per l’energia elettrica pulita che, in questo contesto, significa un piano teso a ridurre le emissioni da parte delle centrali a carbone. Queste costituiscono la principale fonte di emissioni di CO2negli Stati Uniti dove ci sono circa 500 centrali, con una produzione di 1500 GWh, pari a circa il 40 per cento dell’energia prodotta. Le centrali sono concentrate in modo particolare nelle aree che producono carbone. L’obiettivo del nuovo piano dell’amministrazione Obama è più stringente di quello già annunciato qualche tempo fa e mira a ridurre le emissioni di anidride carbonica del settore elettrico in una misura pari al 32 per cento rispetto ai livelli del 2005 entro il 2030.

Ma è davvero una sfida?

Vi è anzitutto da osservare che la produzione di elettricità con fonti fossili, come mostrato dalla figura 1, è responsabile per non più di un terzo delle emissioni totali. Il Clean Power Plan nulla dice sugli altri due terzi. Un aspetto interessante del piano di Obama è che è articolato a livello di singolo Stato e che per Stati come Wyoming, West Virginia o Kentucky si parla di riduzioni di emissioni delle centrali a carbone nell’ordine del 45 per cento al 2030 rispetto ai valori del 2012. Se per Obama si tratta del “maggiore, più importante passo che abbiamo mai fatto nell’affrontare il cambiamento climatico”, per i suoi oppositori repubblicani come Jeb Bush, “La Carbon Rule del presidente Obama è irresponsabile e si spinge troppo in là. La legge passa sopra la testa dei governi statali, caccerà dai loro posti di lavoro innumerevoli persone e aumenta il prezzo dell’energia per tutti”. Per contro la Casa Bianca stima che le famiglie americane risparmieranno 85 dollari all’anno nella loro bolletta del 2030.

Dove siamo oggi?

Per capire se il piano è davvero ambizioso basta guardare la figura 2. Le emissioni di CO2 del settore elettrico negli Stati Uniti erano nel 2005 pari a 2414 milioni di tonnellate (Mton). Il target al 2030 del 32 per cento è pari a 1642 Mton. Oggi – dati 2014 – le emissioni sono pari a 2051 Mton. In altri termini, per ragioni che precedono il Clean Power Plan, il settore elettrico sta diminuendo le proprie emissioni a una velocità che nel periodo 2005-2014 è stata addirittura superiore a quella attesa da oggi al 2030 (1,6 per cento annuo contro 1,3). Per capire il perché di questa riduzione possiamo osservare la tabella 1. La progressiva riduzione dell’uso del carbone nella produzione dell’energia elettrica data un quarto di secolo e nel 1990 la quota superava addirittura il 50 per cento, mentre oggi è al 39. La tabella offre altri interessanti spunti: la produzione elettrica con derivati dal petrolio non è mai stata rilevante: 4 per cento nel 1990, 0,7 oggi. Due le novità di rilievo di questi 25 anni. La prima è che il contributo del solare ed eolico, pur moltiplicatosi in questi anni di un fattore 63, non copre nemmeno il 5 per cento della generazione elettrica. La seconda novità è l’apporto del gas naturale la cui quota più che raddoppia nel periodo in esame. Interessante infine osservare come altre fonti molto importanti (nucleare o idroelettrico) si caratterizzano per una sostanziale costanza nella quota coperta a significare una costante attenzione agli investimenti anche su queste fonti.

In conclusione

Il presidente Obama e la sua amministrazione prestano grande attenzione al modo in cui vengono presentati i risultati e le proposte. In questo caso quella che – di primo acchito – è sembrata una mossa molto coraggiosa, e per qualcuno un vero e proprio azzardo, si dimostra alla luce dei dati come un sostanziale accompagnamento di un’onda di transizione tecnologica che sta avvenendo da parecchio tempo per diverse ragioni tra cui la lotta all’inquinamento locale e l’andamento prezzi dell’energia. L’andamento dei consumi di energia elettrica negli Stati Uniti, cosi come nel resto dei paesi industrializzati, dipende inoltre da altri fattori tra cui il livello di attività economica. Oltre al cambiamento tecnologico, ci è stata a partire dal 2006 una crisi importante ed una successiva rispesa la cui velocità di recupero è stata meno rapida di come era stato previsto. È possibile dunque che crisi da una parte e mancata ripresa abbiano minato certezze consolidate ed inciso sui consumi di energia anche se forse solo temporaneamente. In conclusione: un deciso e convinto applauso per la manovra Usa che però non è certamente ancora, retorica a parte, “il più importante passo”.

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