Clima: dai protocolli ai fatti
di Galeotti e Lanza
Si è aperta a Marrakech l’annuale Conferenza sui cambiamenti climatici. La consapevolezza internazionale sul tema è molto cresciuta. E oggi in discussione ci sono le modalità di attuazione dell’Accordo di Parigi. Partendo dai tempi di revisione degli impegni finora assunti dai diversi paesi.
Una lenta presa di coscienza
4.270 giorni. È lo spazio di tempo intercorso tra l’entrata in vigore del protocollo di Kyoto (25 febbraio 2005) e l’Accordo di Parigi (4 novembre 2016). Un tempo pieno di speranze, delusioni, ripensamenti e accordi, con un lieto fine che continua a spostarsi nel tempo come nel paradosso di Zenone. Tutte le volte che l’obiettivo sembra diventare prossimo, nuove scoperte, nuove sfide e nuovi e più ambizioni traguardi chiamano a raccolta i diversi paesi e i loro governi.
Il tempo tuttavia non è trascorso invano. La consapevolezza internazionale sul tema del cambiamento climatico è cresciuta in modo esponenziale soprattutto negli ultimi anni se è vero che nel suo intervento di apertura di un forum internazionale sull’energia a Riyad, Khalid Al-Falih, potentissimo ministro del petrolio saudita, ha invitato tutti a innovare le proprie strategie e i propri obiettivi alla luce delle questioni relative al cambiamento climatico. Il ministro ha più volte sottolineato la necessità di creare un equilibrio tra lo sviluppo economico e le esigenze e le necessità di preservare l’ambiente, pur mantenendo il valore economico dell’energia. Non più tardi di un anno fa la posizione dell’Arabia Saudita era ferma (da anni) su quattro pilastri (apparentemente) inamovibili: preservare i proventi del petrolio, ottenere un risarcimento per gli impatti negativi dei cambiamenti climatici, evitare ogni forma di impegno, acquisire tecnologia e capacità di adattamento.
Il ripensamento da parte dell’Arabia Saudita si potrebbe estendere a molti altri paesi e ad alcune tra le maggiori compagnie petrolifere (spesso statunitensi). Lo scorso mese di maggio, nell’assemblea annuale della ExxonMobil, la più grande compagnia petrolifera privata del mondo, il suo amministratore delegato e presidente Rex Tillerson ha fatto quello che non aveva mai fatto prima. Nella sua relazione agli azionisti ha affrontato come primo argomento il tema del cambiamento climatico. Per diversi minuti ha parlato degli investimenti di Exxon in tecnologie di produzione dei biocarburanti, delle tecnologie per la cattura della CO2 e di quanto la sua azienda abbia lavorato negli ultimi dieci anni per studiare a fondo il problema. In realtà, solo sei mesi fa Tillerson è stato messo sotto inchiesta dal procuratore generale dello stato di New York con l’accusa di indurre volutamente in errore i consumatori sul tema dei cambiamenti climatici, finanziando gruppi di “negazionisti” o comunque alterando artatamente la realtà così come emergeva dagli studi scientifici indipendenti.
L’agenda di Marrakech
In questo contesto si inseriscono due elementi nuovi e connessi: l’entrata in vigore dell’Accordo di Parigi e il prossimo inizio della Cop22, la Conferenza sui cambiamenti climatici che quest’anno si tiene a Marrakech dal 7 al 18 novembre. Sul tavolo l’attuazione – e i miglioramenti – dell’Accordo di Parigi. L’accordo ha delineato certamente una serie di obiettivi importanti e ambiziosi. Ma al “che fare” bisogna far seguire il “come farlo”. Quello che manca è, nel gergo negoziale, una “roadmap” per raggiungere gli obiettivi che sono stati delineati.
Il primo problema riguarda i tempi di revisione degli impegni assunti dai diversi paesi, i cosiddetti Ndc, Nationally Determined Contributions. Le misure contenute negli attuali piani nazionali non consentiranno neppure di avvicinarci all’obiettivo dichiarato di limitare la crescita della temperatura media globale “ben al di sotto” di 2°C entro la fine del secolo (vedi grafico).
Il recente rapporto “The Emissions Gap Report 2016” pubblicato dal Programma ambiente delle Nazioni Unite (Unep) prevede che nel 2030 le emissioni possano raggiungere 55 Gton (gigatonnellate) di CO2 equivalente, un livello molto al di sopra delle 42 Gton necessarie per avere la possibilità di limitare il riscaldamento globale a 2°C in questo secolo, tantomeno la possibilità di “proseguire l’azione volta a limitare l’aumento di temperatura a 1,5°C”. Per avere un’idea, una Gton è all’incirca equivalente alle emissioni generate dai trasporti (compresa l’aviazione) nell’Unione europea in un anno. Se gli impegni presi a Parigi fossero pienamente attuati l’incremento della temperatura terrestre sarebbe contenuto in una forchetta compresa tra i 2,9 a 3,4 gradi, un risultato insufficiente rispetto all’obiettivo formulato a Parigi.
Gli Ndc non sono quindi in grado di raggiugere l’obiettivo sottoscritto per il 2030. La prima data indicata per l’aggiornamento dei piani è il 2023 (e successivamente ogni cinque anni), ma rischia di rimettere il mondo in carreggiata troppo tardi. Su questo punto è probabile che si giocherà buona parte della “partita” di Marrakech.
Non ci resta che attendere ancora qualche settimana e vedere se le speranze andranno deluse o meno. In chiusura dell’Angelus di domenica 6 novembre Papa Francesco ha affermato: “Auspico che tutto questo processo sia guidato dalla coscienza della nostra responsabilità per la cura della casa comune.” Speriamo sia il tempo giusto per le persone di buona volontà.
Grafico 1