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Il prezzo del petrolio e il califfo contrabbandiere

Il prezzo del petrolio e il califfo contrabbandiere

di Alessandro Lanza

Il prezzo del petrolio cala nonostante i vari focolai di crisi in Medio Oriente. L’Isis, per ora, non ha interesse a distruggere gli impianti perché ottiene finanziamenti importanti dal contrabbando di greggio. E la domanda è debole, mentre il Nord America si avvia verso l’autosufficienza.

LO SCENARIO MEDIO-ORIENTALE

La situazione politica del Medio Oriente è sempre stata legata a doppio filo con l’andamento del prezzo del petrolio. Il momento attuale in quell’area è piuttosto complesso: un conflitto in Siria che, nato sull’onda della primavera araba nel 2011, si è trasformato rapidamente in una guerra civile in cui alla proteste organizzate per spingere alle dimissioni il presidente Assad si è sostituito un conflitto più ampio, che vede coinvolte molte potenze dell’area oltre a milizie di varia natura. Non meno intricata è la situazione in Libia. Il paese, che aveva abbozzato una transizione democratica nell’immediato post-Gheddafi, si ritrova a dover fronteggiare una guerra fra milizie, fazioni e bande, il cui risultato finale è al momento imprevedibile.

E questa analisi potrebbe proseguire con l’Egitto o con l’infinita crisi Israelo-palestinese. In queste settimane il palcoscenico è però monopolizzato dai miliziani dell’Isis, una vera e propria galassia del terrore che negli ultimi dieci anni ha assunto nomi e leadership diverse, ma che oggi, complice anche una straordinaria efferatezza, polarizza l’attenzione dei media di tutto il mondo. Alcuni osservatori hanno voluto vedere una certa incoerenza tra l’attività dell’Isis nell’area e, più in generale, la situazione di perdurante incertezza rispetto alla dinamica del prezzo del petrolio. Sembra quasi che il mercato viva un momento di contraddizione nell’assenza di una spiegazione tra le crisi in atto e la riduzione del prezzo del petrolio che si registra sui mercati internazionali.

DOMANDA E OFFERTA

A guardare con attenzione, tuttavia, la contraddizione può essere, se non risolta, almeno chiarita. Tre sono gli elementi principali. In questo momento il mercato è certamente lungo, ovvero gli investimenti in upstream fatti negli anni passati, e dunque il flusso di produzione che ne consegue, cozzano con una dinamica della domanda estremamente debole.
La crisi economica prolungata si fa sentire sul mercato mondiale del petrolio, se è vero che il tasso di crescita 2014 su 2013 potrebbe essere intorno all’1 per cento o poco più. Si accentua perciò la discesa delle quotazioni del petrolio che, oltre a una domanda stagnante, scontano anche l’aumento dell’offerta. Nella settimana chiusa al 3 ottobre gli Stati Uniti hanno raggiunto la produzione più elevata dal 1986, mentre l’Opec, che fornisce circa il 40 per cento del greggio mondiale, sta aumentando a sua volta l’output (ai massimi dal 2013) in virtù della crescente concorrenza tra i Paesi membri per guadagnare quote di mercato. Due giorni fa l’Iea (International Energy Agency) ha rivisto al ribasso le stime di domanda globale di petrolio: ci si aspetta una crescita al ritmo più basso dal 2009, complice l’accentuata debolezza del quadro economico (figura 1).

Fonte: lavoce.info

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